11 Febbraio 2022, 12.00
Paitone
Storia

Martiri in pace, ma troppo a lungo contestati

di Franco Tarsi

Ieri, 10 febbraio, era una di quelle date che, almeno in Italia, non possiamo dimenticare: il Giorno del Ricordo dei martiri delle foibe, quelle migliaia di vittime italiane, di nascita o di origine, uccise in modo raccapricciante dai partigiani jugoslavi di Tito


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Il 10 febbraio, fissata per convenzione, è la data dei Trattati di pace di Parigi del 1947, entrata in vigore con la legge del 30 marzo 2004/92. Che cosa c’è ancora da dire su questa sconvolgente vicenda, oltre a piangere le vittime insieme con gli ultimi superstiti? Beh, c’è ancora parecchio da dire e ci sarà, sui piani storico e morale, per molti anni, sempre che si abbia la voglia di riflettere.

La prima domanda che ci si può porre è: come mai ci sono voluti sessant’anni prima che ci si ricordasse formalmente delle foibe e del loro orrendo contenuto, anche se fatti e persone coinvolte erano noti a tutti fin dalla fine della guerra?

Per molti motivi: dal rispetto ‘doveroso’ verso le forze partigiane di Tito al ‘favore’ che ci aveva fatto lo stesso Tito rompendo con l’Unione Sovietica (dalla quale aveva avuto scarsi sostegni durante la lotta partigiana) e, di fatto, facendosi espellere dall’Ufficio comunista di informazione (Cominform) e per di più subendo il forzato ostracismo di tutti gli Stati comunisti - evitandoci, quindi, lo spinosissimo problema di avere l’Urss alle porte di casa - fino alla necessità di instaurare una politica di buon vicinato con la Jugoslavia, che il passare del tempo rendeva praticamente inevitabile.

Ma se questa necessità, virtuale ma anche molto concreta per ragioni soprattutto commerciali e poi anche turistiche, ha spinto i Governi italiani del dopoguerra ad allacciare crescenti rapporti diplomatici con Belgrado, sul fronte storico e partitico le cose non hanno seguito la stessa linearità. Il genocidio delle foibe è stato ampiamente e, diciamolo pure, vergognosamente contestato, al fine di impedire che venisse culturalmente accettato per non macchiare il movimento partigiano iugoslavo.

Per inciso, una rappresentanza sovietica, diretta da Kruscev (segretario del Pcus) e Bulganin (primo ministro) visitò la Jugoslavia nel 1955, chiedendo scusa per i “misfatti di Stalin”. Da parte italo-jugoslava, dopo la morte di Tito (1980), la caduta del muro di Berlino (1989), la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) e l’ingresso della Slovenia nell’euro (2004) e poi negli accordi di Schengen (2007), il processo di avvicinamento fra i due paesi ha subito non solo un’accelerazione ma anche un processo di ‘ripulitura’ delle coscienze, che ha prodotto a sua volta ripetute ammissioni negli incontri bilaterali al vertice, secondo cui quella dei partigiani titini fu “violenza di stato” e la vendetta delle autorità jugoslave “crimini senza giustificazione alcuna”.

Ma le vittime delle foibe, per le quali si pretendeva soltanto un ricordo, hanno subito uno sbarramento di contestazioni storiche tradotte in parole astratte che finiscono tutte in ‘ismo’, con un intento intrinsecamente ma palesemente spregiativo: dal negazionismo al riduzionismo - tesi entrambe sostenute dal Movimento di liberazione e dal Governo jugoslavo in relazione ai fatti del 1943 e 1945, che negavano l’intento genocida nei confronti degli italiani e riducevano il numero delle vittime - al giustificazionismo, che giustificava, come dice il termine, le uccisioni perché dirette contro militari e collaboratori del nazi-fascismo.

Ma, per concludere, quello che fa più male è la durezza nelle prese di posizione italiane contro il fenomeno delle foibe. Leggete quello che scriveva in un suo libro una ricercatrice (di cui per decenza non dico il nome). L’autrice spiega di voler “liberare gli sloveni e la sinistra tutta dal senso di colpa che si portano dietro come infoibatori” e afferma che “non vi furono massacri indiscriminati: della maggior parte degli arrestati si sa che erano militari e collaboratori del nazifascismo”.

Quindi, “visti i ruoli impersonati dalla maggior parte degli infoibati, personalmente rifiutiamo di onorarli. Si può provare umana pietà nei confronti dei morti, ma da qui a onorare chi tradiva, spiava, torturava, uccideva, ce ne corre”.

Naturalmente, tutti gli infoibati sono stati condannati senza alcun processo, quel processo che invece era stato civilmente concesso anche ai criminali nazisti a Norimberga. E se non si trovavano i responsabili diretti (poliziotti, carabinieri, guardie di finanza, oltre a veri collaborazionisti, personaggi di spicco, potenziali oppositori del futuro regime di governo) si infoibavano mogli, figli, genitori. Ammazziamo per lo meno quelli che troviamo. Tutto, naturalmente, in nome della Giustizia!



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