10 Marzo 2007, 00.00
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Darzo

La Maffei ora parla piemontese

Una novantina di milioni di euro. Tanto vale la Maffei, se stiamo al prezzo con cui il Gruppo Minerali di Biella ha acquisito il 50.29 % dell'azienda: 45 milioni e mezzo di euro. Preoccupazione a Darzo per il futuro dell'azienda.

Una novantina di milioni di euro. Tanto vale la Maffei, se stiamo al prezzo con cui il Gruppo Minerali di Biella ha acquisito il 50.29 % dell'azienda: 45 milioni e mezzo di euro.
Le cronache dicono che nel mese di aprile dovrebbe partire un'offerta pubblica di acquisto a 3,16 euro ad azione, essendo la Maffei quotata in Borsa dal 1988.
Numeri, valori, denaro, azioni, Borsa... Oggi è così. Ma la Maffei per il Trentino ha un significato che va molto oltre.

Per il Trentino inteso come gente comune: i minatori, i teleferisti, gli operai, le cernitrici, gli impiegati, i carradori prima e i camionisti poi, ossia tutte le centinaia e centinaia di persone che per quasi novant'anni hanno dato il loro lavoro all'azienda.
Difficile dire se la scelta della Iris Ceramiche di liberarsi della maggioranza delle azioni significhi il cambiamento di un'epoca, anche perché di epoche alla Maffei ormai ne sono cambiate tante, e della florida azienda mineraria che occupava qualche centinaio di addetti ormai rimane poca cosa. Rimane l'ultimo baluardo, che poi è stato il primo.

Era finita da poco la Grande Guerra, e i documenti ufficiali del Trentino non erano più scritti nella lingua di Franz Josef, quando ad un tiro di schioppo dal confine dell'ex impero asburgico arrivava un signore originario della lombarda Val Sassina in cerca di miniere. I vecchi raccontavano che qui arrivò in bicicletta, e sarà vero, considerati i tempi e le condizioni dei trasporti. A Darzo (paesino di alcune centinaia di anime) si era già insediata, nel 1895, un'azienda bresciana, la Corna Pellegrini, che aveva trovato un filone di solfato di bario: la barite, pietra bianca impiegata nei colorifici.
Quel signore si chiamava Carlo Maffei e a quarant'anni aveva già una discreta fortuna. Se l'era guadagnata lavorando duro. Era partito per l'Argentina a dodici anni, da solo, nella terza classe delle navi degli emigranti. Era tornato una decina d'anni dopo, viaggiando in prima classe, per salutare la madre, ma non sarebbe più tornato di là dall'oceano. Fu rapito dalla barite, quella pietra bianca che affiorava sulle montagne vicine al confine con la Svizzera.

Da allora fu una continua ricerca, che lo portò a Darzo. Qui scoprì un filone che sarebbe diventato la più importante miniera europea di barite per quarant'anni. Le continue ricerche diedero frutti succulenti subito dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1946, quando fu scoperto il filone di Giustino, che non era di barite, ma di feldspato, materiale usato per le ceramiche. Nel frattempo fu aperto anche lo stabilimento di Trento, dove veniva lavorato il materiale di Giustino. Un'azienda in costante crescita, insomma, con l'apertura progressiva di stabilimenti in Toscana, Sardegna, Lombardia e Piemonte.
Un'azienda che ha dato lavoro a generazioni di trentini, i quali (soprattutto nei primi decenni) hanno evitato lo spettro dell'emigrazione.

A partire dagli anni Sessanta la Maffei passò sulle spalle della seconda generazione di imprenditori: i figli di Carlo «il Barba», com'era affettuosamente chiamato dai suoi operai nei tempi in cui per il «padrone» si provava affetto. In particolare si ricorda il «signor Italo», per il quale negli anni Settanta la gente visse momenti di apprensione, quando fu rapito dall'anonima sarda.
Lo liberò Andrea Olivieri (imprenditore edile sardo, ma darzese prima e campigliano d'adozione poi), che si sostituì ad Italo Maffei, mettendosi nelle mani dei rapitori.

Alla seconda generazione seguì la terza, e la Maffei cambiò pelle, complice anche un mercato sempre più complicato. Fu acquistata dalla Iris Ceramiche. E il resto è cronaca degli ultimi anni: chiusura dello stabilimento di Trento; fine della concessione di Giustino. Unico stabilimento aperto è quello di Darzo, con una riduzione secca del personale: ci lavorano in dodici rispetto al centinaio dei tempi d'oro.
La barite è scomparsa: si macina il quarzo ventilato in arrivo dalla miniera di Sondalo, provincia di Sondrio. E ora? A Darzo aspettano, sempre con il timore che lo stabilimento prima o poi... subisca lo stesso destino dei suoi colleghi trentini.
Sarà così? Per adesso non è giunta alcuna comunicazione della nuova proprietà sul futuro. Non resta che aspettare.

Giuliano Beltrami da L'Adige


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