22 Giugno 2021, 11.42
Muscoline
Resistenza

La Brigata Perlasca

di Redazione

Pubblichiamo la postfazione al libro di Emilio Arduino del quale la prof. Gnecchi ha curato la digitalizzazione per la ristampa


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Il 1946, anno in cui Brigata Perlasca viene pubblicato dall’editore Gatti, è un anno difficile per la resistenza: il vento del Nord ha cessato  di soffiare da un bel po’, il governo guidato da Ferruccio Parri, il mitico Maurizio si è dimesso a fine del novembre 1945, alla fine di giugno 1946  pochissime settimane dopo il referendum monarchia/repubblica l’amnistia Togliatti, finalizzata alla pacificazione nazionale e applicata da una magistratura non epurata sta mettendo in libertà tanti fascisti e sotto processo i partigiani. Addirittura durante l’estate alcuni gruppi di partigiani esprimono il loro disagio nei confronti delle scelte del governo decidendo di tornare in montagna (è il caso per esempio dell’insurrezione di Santa Libera, in provincia di Asti). 

Parri riferendosi a quel drammatico periodo che aprirà la strada al governo de Gasperi scriverà: “non avevamo ben capito che la struttura burocratica e statale del fascismo era stata appena scalfita dall’epurazione, i giudici docili e i professori zelanti erano ancora al loro posto. E non avevamo ben capito che, ripreso fiato, questa Italia che si era trovata così bene con il fez e con l’impero avrebbe cercato di riprendere il posto. “

Questo è il clima; dal punto di vista politico prevale la volontà di porre la parola fine alle esperienze  di autogoverno  maturate nel corso dei 20 mesi in montagna.

Sul versante culturale si assiste all’uscita di numerose pubblicazion
i (Rolando Anni ne La complessa costruzione del libro cita con precisione quelle a livello locale) di carattere  memorialistico e, a livello più alto, letterario. Italo Calvino nella prefazione all’edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno riferendosi a quegli anni osserva: “Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano — non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, «bruciati», ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d'una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt'altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero…”.

In questo fervore ed urgenza di scrittura  Brigata Perlasca costituisce un unicum a livello locale: si distingue infatti da tanti testi coevi per il rigore del contenuto storico; è infatti molto citata dallo storico Santo Peli che alla Resistenza bresciana e alla Resistenza in generale ha dedicato importanti studi e da Rolando Anni, autore della storia della Brigata. Ma non solo; la sua lettura oltre che a lasciar trasparire la raffinata e solida cultura dell’autore tanto che molte sue pagine possono essere collocate accanto a quelle di scrittori  quali  Fenoglio, Calvino o Meneghello, si distingue per  l’originalità e la novità della sua impostazione. In un periodo in cui la Resistenza viene raccontata in tono epico o celebrativo, Arduino assicura il lettore di aver messo  “la massima cura…” nel mantenerci fedeli alla verità, evitando ogni tentazione di gargarismi retorici e di raffreddori patriottardi”.

Con l’ironia e il distacco amaro
di chi è consapevole della sconfitta dei valori per i quali si è battuto l’autore sa cogliere le peculiarità e i limiti che  contraddistinguono la resistenza bresciana: il ritardo con cui il movimento ribellistico sorge  e la realtà geopolitica difficile in cui  si trova ad operare, l’eterogeneità dei gruppi , le difficoltà nei rapporti con la popolazione civile, la presenza delle spie, i rapporti complessi con la città. Ma a fare da legante a queste lucide annotazioni la rivendicazione – nel 1946 – della moralità della scelta.

Molti decenni dopo lo storico  Pavone dedicherà un importante saggio all’argomento e a proposito di quella scelta osserverà: ”Il primo significato di libertà che assume la scelta resistenziale è implicito nel suo essere un atto di disobbedienza. Non si trattava di disobbedienza a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione, quanto di disobbedienza a chi aveva la forza di farsi ubbidire. Era cioè una rivolta contro il potere dell'uomo sull'uomo, una riaffermazione dell'antico principio che il potere non deve averla vinta sulla virtù. Che il potere contro il quale ci si rivoltava potesse essere poi giudicato ille¬gale oltre che illegittimo in senso forte, non fa che completare il quadro. La scelta dei fascisti per la Repubblica sociale — è una differenza che giova subito porre in rilievo — non fu avvolta da questa luce della disobbedienza critica.” (Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, pag 21).

Ebbene, Arduino ha già colto  “a caldo” questo aspetto fondante dell’esperienza appena conclusa:
“E mai come a metà del ventesimo secolo il torto e la ragione si raggrupparono separati da un taglio così netto sotto due opposte bandiere. E gli uomini della bandiera della ingiustizia odiarono mortalmente gli altri, che erano il segno vivente della loro condanna. E per questo li torturarono, li seviziarono, li dilaniarono con una tenacia ed una ferocia di cui forse non s’ha paragone nella storia. Essi volevano sbranare e distruggere quel tremendo vivente atto d’accusa che costituiva per loro ogni partigiano, disperderne i brandelli nella speranza di farne scomparire anche il più lontano ricordo”. (pag.65-66) e ancora: «Nel 1944 pochi manipoli d’uomini, soli nel cuore d’una terra occupata dallo straniero, combatterono e caddero per la libertà.” (pa.67-68) e ad esperienza conclusa: “Ma il cuore dei partigiani della brigata Perlasca, oggi che tutto è finito … Predilige le ore fredde e nere, quando si era soli, senza onori e senza bandiere. Ricorda con orgoglio che furono cento uomini a difendere in quei luoghi una parola di libertà. Essere stati di quelli, è pur sempre una cosa cara. Né è meno gradito pensare che fu una compagnia di giovinezza a fare quelle cose; senza le solite persone serie, senza generali, senza soldati di carriera. Ciononostante, quella comitiva allegra fu una cosa completa: si amministrò da sé, si comandò da sé, visse da sé. Ebbe i suoi quadri, le sue abitudini, i suoi metodi. Ebbe anche i suoi morti. Molti, quasi il venti per cento. “

“Partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità”: Fenoglio in una delle pagine iniziali de “Il partigiano Johnny” mette in bocca questa frase al protagonista dell’omonimo romanzo; una scelta fondativa, esistenziale ed etica prima ancora che politica. In molte pagine di Brigata Perlasca si respira molto dello spirito che spinse molti giovani di quelle generazioni nate ed educate nel ventennio a  dire NO.

Oggi risulta sempre più difficile e inattuale e per certi versi anacronistico parlare di Resistenza senza suscitare reazioni di fastidio o cadere nelle trappole di stereotipi revisionistici; il libro di Arduino conserva tutta la sua originale freschezza e originalità a più di settant’anni dalla sua prima pubblicazione e proprio per questi motivi  ha ancora molte cose da dire.

Prassede Gnecchi



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