09 Marzo 2015, 11.00
Idro Valsabbia
Lettere

Padre Giuseppe Vaglia

di Guido Assoni

Come il destino riserva delle piacevoli sorprese anche nei momenti più tristi


Qualche anno fa, io e mia moglie Giuliana, eravamo andati sul Garda, a Maderno, per porgere l’estremo saluto ad un padre missionario, fratello di una nostra conoscente.
Appena giunti davanti alla camera ardente incontrammo una distinta coppia di mezza età, Ugo e Vincenza, venuti apposta fin da Pavona, un paese sito alle pendici dei Colli Albani in provincia di Roma, per rendere l’ultimo omaggio al parroco della loro infanzia.

Parlando dei loro ricordi di gioventù che li legavano al defunto sacerdote, ad un certo punto Ugo mi chiese da dove provenissi.
Solitamente ad una domanda del genere rispondo immediatamente “da Lavenone”.
Collocare geograficamente Lavenone sarebbe stato però oltremodo difficile essendo un piccolo borgo riportato a malapena sulle cartine stradali.

Quel pomeriggio, contrariamente alle mie abitudini, pensai fosse opportuno, per inquadrare la zona di provenienza, parlare loro di Idro, il paese di mia moglie e dove tutt’ora risiedo, magari decantandone le bellezze del lago, della Rocca d’Anfo, della Valle Sabbia in generale e spiegando loro che da Idro si arriva in poco più di un’ora a Madonna di Campiglio.

Non ci fu bisogno di alcuna spiegazione perché, come pronunciai la parola “Idro”, dai loro occhi, dal loro cuore e dallo loro mente si sprigionò una luce mista a commozione e mi risposero: “Idro, il luogo ove nacque Padre Giuseppe Vaglia”.
Idro, paese che già conoscevano benissimo avendo avuto modo di incontrare i parenti di Padre Vaglia e di visitare la Chiesa ove celebrò la Messa, il Cimitero dove viene ricordato con una lapide all’interno della Cappella Mortuaria e la biblioteca cui fornirono alcune testimonianze.

Parlarono per un paio d’ore di questa figura indimenticabile
per l’esempio di vita che aveva lasciato loro.
Anche Giuliana aveva un vago ricordo di questo parroco per averlo visto quando, nel lontano 1970, fece visita al fratello Fulvio.
Magro, pallido, sofferente, sempre con un breviario nero in mano e autorelegatosi in un angolo del Bar Tabacchi alla Pieve, per non recare fastidio agli avventori.

In questi mesi, grazie soprattutto all’aiuto di Ugo e Vincenza,
ho potuto approfondire la conoscenza e raccogliere materiale e testimonianze su questo “trabalhador de verdade” come viene tutt’oggi ricordato, in Brasile, padre Giuseppe Vaglia.
Nato a Idro il 01 maggio 1920, il giorno del lavoratore come indicazione del lavoratore instancabile che sempre lo contraddistinse, rimase ben presto orfano di padre e di madre.
Affidato alle cure amorevoli del fratello e della cognata, il 10 ottobre 1932 entrò all’Istituto Sacro Cuore di Maderno e si incamminò verso la vita religiosa ed il sacerdozio.

Svolse la sua opera come assistente degli alunni dell’Istituto Almerici a Montevecchio di Cesena
e dell’oratorio maschile di San Valentino nell’Abruzzo e come infermiere all’Istituto Artigianelli di Brescia, fondato nel 1886 da padre Giovanni Battista Piamarta.

Una svolta determinante nella sua vita avvenne nell’ottobre 1947 quando seguì Don Giuseppe Girelli e Don Pietro Baccolo della Congregazione religiosa “Sacra Famiglia di Nazareth”, nominati, per intercessione del cardinal Montini, futuro Paolo VI,  rispettivamente parroco e vicecurato di Pavona in provincia di Roma.
Qui la sua figura bonaria di persona che voleva rendersi utile a tutti i costi nella ricerca laboriosa di un apostolato vivo e fecondo, attirò l’attenzione del Vescovo di Albano, Mons. Raffaele Macario, il quale, spontaneamente, gli propose l’Ordinazione sacerdotale coronando così il suo profondo desiderio.

La consacrazione avvenne il 17 dicembre 1955, pur senza aver conseguito la laurea in teologia ed il giorno successivo celebrò la prima S. Messa nella Chiesa parrocchiale di Pavona.
Molto toccante una lettera inviata alla sorella Cesira ed alle nipoti in data 22/11/1955 “Carissima Cesira e nipoti mie, ho ricevuto la vostra lettera. Grazie. Ho atteso a rispondervi per darvi la bella notizia. Il 17 dicembre sarò finalmente ordinato sacerdote ed il 18 canterò la Prima Santa Messa qui a Pavona.
Accordatevi con Silvio e cercate di venire almeno in uno. Non ho parole per esprimere la mia riconoscenza al Signore e alla Vergine Santa che veramente mi fu Madre in questo lungo periodo di prove e ostacoli. Non preoccupatevi per il calice. Già me l’hanno offerto e non fate altre spese. Pregate invece tanto e tanto, che sia degno dell’ordine a cui mi appresso. Abbiate la mia benedizione. Vostro aff.mo Don Giuseppe”.
L’ 08 gennaio 1956 celebra la S. Messa a Brescia e nel marzo successivo a Idro.

Dopo soli cinque anni di apostolato sacerdotale intenso in Italia, col solo rimpianto di non essere stato nominato parroco della Chiesa di San Giuseppe di Pavona, nel 1960 salpava, tra i primi, per la missione impegnativa di São Bento e Palmeirandia nel Maranhao (Brasile) mettendosi al servizio e con totale dedizione alla povera gente.
Ritornò in Italia per una breve visita solo dopo dieci anni, nel 1970.

Da tempo sofferente, venne ricoverato il 30 marzo 1975 all’Ospedale di Fortaleza ove subì ben tre operazioni in un mese.
Rientrò in Italia ai primi di giugno per un periodo di riposo con la speranza di poter, una volta ristabilitosi, di continuare la sua amata missione nell’America latina.
Ma la malattia non gli diede tregua e gli impedì anche di recarsi per l’ultima volta dai suoi cari parrocchiani di Pavona.
Scrisse loro una lettera il 09 giugno 1975 dicendo di sentire sempre i battiti dei loro cuori nella serenità di chi è totalmente abbandonato alla volontà di Dio.
“Se il Signore vuole…” era la sua espressione più comune ripetuta spesso a voce, nelle lettere conservate dalla Confraternita di Pavona e anche sul letto di morte.

Si spense serenamente il 23 luglio 1975.
Il 26 luglio si svolsero i funerali nella Cappella della Casa Madre a Brescia e fu sepolto nel Cimitero della Volta Bresciana con la partecipazione commossa dei numerosi confratelli, parenti e parrocchiani di Pavona e di Idro.
Aveva solo 55 anni di età, di cui 37 di professione religiosa, 20 di sacerdozio e 15 di vita missionaria.
Diverse le testimonianze di chi, bambino, subito dopo la guerra, frequentava la Parrocchia Sant’ Eugenio di Pavona.

Scrive Vittorio R. “Padre Vaglia ci invogliava sempre di più ad andare a Messa, ci faceva giocare a pallone, anche lui giocava con noi, poi ci ha comprato i biliardini, una volta la settimana ci faceva un film di Tarzan. Quando finivamo le scuole organizzava per andare in colonia al mare, nella pineta di Tor San Lorenzo, venivano anche le suore per farci da mangiare e le pulizie”.

Molte le testimonianze pervenute da São Bento e da Palmeirandia.

E’ stato amato da tutte le classi sociali e comunitarie lasciando un forte e vivo rimpianto in tutti quelli che con lui hanno vissuto, sia essi il professor Capitano Padilla, il magistrato Zezinho Castro, il medico Qunzinho Melo, il Prefetto Iosè Genesio, il Dott. Durval Diana, la poetessa Doma Lourdes Bacelar Diana, il bambino della Chiesa Matriz, i ricchi, i poveri e gli ammalati.

Sempre festeggiato dove arrivava, nelle Chiese, nelle scuole, nei campi sportivi, nelle contrade e nei letti dei sofferenti, la sua presenza era allegra, di conforto, distribuiva a tutti un sorriso fraterno e una parola animatrice, il suo viso era sempre sereno e lucido.
Dietro le lenti, gli occhi azzurri riflettevano la pace interiore.
Amante degli animali, allevava conigli e aveva una predilezione per il suo amato cavallo Carlo che morirà a seguito del morso di un serpente cobra.

Operaio dell’anima e del corpo, simbolizzava l’umiltà, l’amore, la fede e la carità cristiana.
In quella semplicità evangelica, nascondeva tanto sapere: poliglotta, dominava il latino, l’ebraico, il greco, l’inglese, il francese, l’italiano e il romanesco.
Il suo spirito di educatore anticipò anche la filosofia del Mobral, una scuola per adulti analfabeti da lui fondata.
Con le sue conoscenze mediche (era stato infermiere all’Istituto Artigianelli) aiutò indigenti e persone sfortunate.
La gioventù fu la sua costante preoccupazione: giochi, associazioni, scautismo, scuola di musica.
Si privava del puro necessario per dare a chi ne aveva bisogno.

Una stele nella Chiesa di Palmirandia, scritta in portoghese, recita così: “La vita è perenne, eterna, perché lo spirito è immortale e rimane vivo come una forza e come una luce. Così è padre Giuseppe Vaglia”.
Sempre legato alla Confraternita di Pavona, i cui affiliati, autotassandosi con piccole somme, contribuivano a far fronte alle spese da lui sostenute per costruire un asilo (jardin d’infancie) e mantenere i bambini affidatigli dalla Divina Provvidenza.
Al Prefetto della città di São Bento (equivalente al Sindaco in Italia) che, meravigliandosi dell’opera e gli chiedeva come fosse riuscito a trovare i finanziamenti, candidamente Padre Vaglia rispondeva “là dove non si conosce faccia né religione, ma dove si conosce solo una parola: amore”.
Un chiaro elogio ai suoi parrocchiani di Pavona.

Dobbiamo poi ricordare come il Comune di Castel Gandolfo, con deliberazione della Giunta Comunale n. 26 del 19 gennaio 1996 abbia attribuito ad un tratto di strada in prossimità del campo sportivo, la denominazione di “via Padre Giuseppe Vaglia”.
Questa la motivazione: “Una commemorazione , a vent’anni dalla sua scomparsa, nel ricordo della sua intensa attività pastorale ed educativa, con risvolti di natura sociale, incidendo grandemente nel tessuto della zona di Pavona e lasciando un ricordo indelebile nella cittadinanza tutta”.

Qualche anno prima, il Comune di Albano Laziale, con deliberazione della Giunta Municipale n. 1032 in data 13 giugno 1994, denominava lo spazio antistante la Parrocchia S. Giuseppe Sposo di M.V. in località Pavona di Albano Laziale come “Largo Padre Josè Vaglia”.
La Parrocchia San Giuseppe dove sognava di diventare parroco ma non gli fu concesso.
Per questo decise di dedicare il resto della sua vita ai poveri e bisognosi nelle Missioni in Brasile.

Guido Assoni


Commenti:
ID56250 - 10/03/2015 17:20:29 - (Dru) -

Una vita esemplare al dunque

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