15 Ottobre 2020, 09.20
L'opinione

Covid, giornali, social e comunicazione: cosa non ha funzionato (e continua a non funzionare)

di Davide Vedovelli

La comunicazione e l'informazione in generale non sono semplicemente il racconto di una notizia (o “storytelling”, come va di moda dire ora) ma è la notizia stessa


Se vi dico “Avvistato un uomo che corre nel bosco” vi sto dicendo tutto e nulla e lascio spazio all'immaginazione. Qualcuno di voi starà pensando che stia scappando, qualcun altro che invece stia rincorrendo qualcuno.

Viene da sé che è quasi più importante il “come si dà una notizia” rispetto alla notizia stessa.

Quando si parla alla popolazione di un paese o di una nazione in merito a tematiche tanto sensibili quanto delicate non si può prescindere dal valutare l'effetto che una comunicazione data in un certo modo avrà sulla gente. Questo ragionamento va fatto a priori e va valutato con esperti di comunicazione quale sia il modo migliore e più efficace di comunicare.

Credo sia mancata una regia e che manchi tuttora. Per quanto il Presidente Conte sia un buon comunicatore in grado di spiegare in modo semplice e comprensibile decreti e relativi effetti sulla vita quotidiana, a livello scientifico l'egocentrismo di alcuni, la superficialità di altri e la brama di audience di giornalisti e conduttori TV hanno creato una confusione terribile.

Questo non può essere però un alibi. Molti di noi tendono a cercare conferme alle proprie idee e non sono sempre disposti ad informarsi davvero approfondendo una tematica, ascoltando più fonti ed analizzando i dati. Tendiamo a cercare questo o quell'esperto che la pensi come noi e che ci dia ragione, e state sicuri che lo troveremo. Avviene già in ambito politico, dove andiamo a votare chi ha la posizione più vicina alla nostra.

A tutto questo dobbiamo aggiungere il mondo Social, in cui il barista ha la stessa autorità del virologo, con la differenza che di solito il barista risulta più simpatico e quindi avrà più follower. Attenzione, non è un discorso snob o classista e se il virologo pontificasse su come si prepara un Margarita il ragionamento andrebbe di pari passo.

Ecco allora una diffusione caotica e confusa dell'informazione, dove diventa difficile orientarsi e districarsi. In questa situazione la paura, la sensibilità personale, il proprio background culturale saranno l'unica bussola a disposizione.

Viene da sé che non esiste più una verità delle cose, ma molteplici punti di vista. Se questo può essere accettato in alcuni ambiti, non può esserlo altrettanto quando si parla di malattie (di una pandemia, nello specifico) che, come in questo caso, stanno decimando la popolazione mondiale. Deve esistere una verità, e se non la si conosce basterebbe avere l'umiltà e l’onestà intellettuale di ammetterlo.

Nel team governativo sarebbe stato opportuno inserire un esperto di comunicazione, identificare un solo soggetto idoneo a diffondere le notizie e sanzionare chiunque e a vario titolo diffondesse notizie confuse. Dittatura? No, semplicemente lasciare parlare chi sa di cosa parla, almeno sui media nazionali. Poi al bar, tra una formazione di calcio e un pirlo, tutti diranno la loro opinione ed è giusto così.

Ricordiamo che la cattiva informazione e le notizie false contribuirono a far perdere la guerra in Vietnam agli Stati Uniti.

Non è pensabile che un giornalista, quando scrive, non si ponga la seguente domanda: che effetto avrà ciò che scrivo su chi legge?






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