«Zyngher», il nuovo disco di Lorenzo Monguzzi

E' necessaria una premessa per mettere in guardia voi lettori. Questa recensione non è e non può essere oggettiva, perché Lorenzo - oltre ad essere un artista talentuoso - è un amico ed un fratello maggiore, di quei fratelli che ti danno uno scappellotto quando stai dicendo una cazzata e ti fanno sentire quell'affetto disinteressato e sincero che è merce rara e dono prezioso.

Però ve lo prometto... ci proverò anche io a rompergli un po' le scatole questa volta.

"Zyngher" arriva dopo alcuni dall'uscita del disco “Portavèrta”, primo disco solista dopo aver sciolto i “Mercanti di Liquore”, storica band che ha calcato i palchi di tutt'Italia tra gli anni 90' e gli anni 2000. Questo è un disco in dialetto brianzolo in cui Monguzzi rilegge e reinterpreta alcune grandi canzoni internazionali a cui è legato, una sorta di dedica (non piace chiamarlo tributo) ad alcuni suoi maestri.

Una scelta molto particolare, sia perché si riappropria di una tradizione dialettale scardinandola da una certa area politica che ha cercato di farla “cosa propria” senza nessuna legittimazione, sia perchè alcuni concetti, alcune parole ed alcune atmosfere si possono rendere a pieno solo tramite gli idiomi dialettali.

Basti pensare a "Crêuza de mä" di Fabrizio De Andrè o ai dischi in milanese di Enzo Jannacci, impossibili da pensare in italiano. Una lingua, quella dialettale, che racchiude una forza e dei colori plasmati dal territorio che l'ha generata, una lingua che cambia, che non si insegna ma che si impara, che non ha regole precise se non quella di descrivere al meglio un'emozione o una sensazione, una lingua cruda, poetica, irriverente e dissacrante capace di far emozionare e ridere allo stesso tempo. Ma veniamo al disco.

“ ... In alcuni casi l’operazione si è rivelata impossibile, perché il dialetto certe parole non le contempla, o più semplicemente perché alla prova del nove, il canto per intenderci, il risultato suonava male o in qualche modo tradiva il senso poetico dell’originale.

Con alcune canzoni invece tutto è filato liscio, molto più facile che con l’italiano così povero di tronche e di onomatopee. Quello che le mie versioni mi sembrano evocare è indubbiamente più ruspante degli originali, ma l’ambizioso tentativo non è mai stato quello di fare delle parodie, bensì trascinare il dialetto in territori avventurosi quali la poesia o almeno la letteratura.

E’ un album risicato, avevo preparato molti più pezzi, ma nonostante il prezioso lavoro dell'Appaloosa, non si è riuscito ad ottenere l’autorizzazione da molti editori, in ogni caso vorrei dire a Bob, Bruce e agli altri che li perdono e non porto rancore... ” racconta Lorenzo presentando il disco. Oltre a queste ci sono tre canzoni inedite scritte di suo pugno. Il tutto sapientemente mixato da Marco Tagliola.

Il disco non vuole e non suona come un disco folk e rifugge sonorità banali o scontate a cui, in molti casi, la lingua dialettale potrebbe indurre. Gli arrangiamenti sono leggeri, semplici e pensati per valorizzare ogni singola parola ed atmosfera racchiusa nelle canzoni. L'Album disegna una geografia immaginaria tracciando un viaggio nella grande canzone d'autore internazionale.

Forse in alcuni casi mi sarei aspettato un po' più di grinta e “cattiveria” ma probabilmente sono elementi che troveremo nei Live (appena saranno possibili). Un lavoro non immediato ma che va ascoltato ed assaporato lentamente. Un disco da ascoltare davanti ad un fuoco in una fredda serata invernale, sorseggiando un buon bicchiere di Amarone (sicuramente della cantina Trabucchi d'Illasi) lasciandosi trasportare dalla voce calda e graffiata di Lorenzo, seguendolo nelle pieghe imprevedibili che la vita ci riserva e che lui sa esplorare tanto bene.

Ascoltatelo ed acquistatelo, ne vale davvero la pena. Una cosa bella in un periodo complicato.

Ecco il video.

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