Quando cammino, ammiro gli orti. Frutta e verdura sono doni di madre natura, e fin da bambino li ho apprezzati sulla tavola. Vorrei ricordare infine Attilio Pasini di Mocasina, un paese in cui ho vissuto tre anni stupendi
Quando abitavo con la mia famiglia al “grattacielo”, avevamo solo un vaso di rosmarino ed erba salvia. In compenso mia mamma si riforniva dalla signora Ranesi, in via Quarena, dove c’era anche il negozio della Saöla.
La verdura c’era sempre sulla nostra tavola. Mio papà diceva: “Insalata ben salata poco aceto ben oliata.” Dicono che mangiare molta verdura faccia bene. Ma io la mangio perché mi piace!
Questa abitudine alimentare me la son portata dietro anche da sposato. Quando siamo tornati dal viaggio di nozze, la mia attuale moglie mi ha preparato una bella bistecca. Le ho chiesto: “E la verdura?!” Lei mi ha guardato come se parlassi una lingua aliena; infatti a casa sua la verdura non era così essenziale.
Famiglia che vai, gusti che trovi. Ma ora mi prepara sempre ottimi pranzetti con la verdura. Se mi cucina la pizza, me la fa con doppie cipolle. Del resto, la vita è una cipolla che si pela piangendo! Anche se una cipolla al giorno leva tutti di torno!
Spesso mi prepara la pasta con aglio, olio e peperoncino. E mi viene in mente la filastrocca che mi ha insegnato mia mamma: ‘Sul tagliere l’aglio taglia, non tagliare la tovaglia, la tovaglia non è aglio, se la tagli è un grande sbaglio.”
Gli orti, che bellezza! Molte persone che conosco li coltivano: Pierangelo Damiani, Nello Cavagnini, Gian Giustacchini e molti altri. Ceci Cattaneo ed il marito Aldo Zambelli accanto al cancello tengono il rosmarino, a disposizione dei passanti.
Chiara, figlia del mio amico Mauro Abastanotti, ha convinto il papà a seguire la tecnica e la filosofia della permacultura, una tecnica utilizzata su vasta scala in agricoltura, ma che Mauro ha applicato ai cassoni dell’orto. La mia amica Anna ha un piccolo ma prezioso orto sulla riva del Chiese (ah, il Chiese!). Il mio caro cognato Sergio Franceschetti aveva cura di un orto straordinario, con le verdure mia sorella Rita gli preparava un minestrone che gustava ogni sera. E mi regalava verdure in gran quantità!
Penso a Bertoldo, che “morì con aspri duoli/ per non poter mangiar rape e fagiuoli.”
L’orto ha bisogno di cure continue, ma tutti mi raccontano che coltivare un orto rende felici. C’è un’antica sapienza: si è in sintonia con la natura, seguendo il ritmo delle stagioni, in una solitudine positiva.
Certo, bisogna chinarsi per terra, togliere le erbacce, il lavoro è tanto ma la passione fa superare tutto. È appagante veder crescere pian piano le piantine e lo è ancora di più farle arrivare in tavola, con la certezza di mangiare qualcosa di buono.
Si vive la meraviglia della cura, del silenzio, del rispetto della Madre Terra cantata da San Francesco ed esaltata dai frati fin dal medioevo. Il loro orto (‘hortus conclusus’ cioè recintato) rendeva il monastero autosufficiente; coltivavano anche le piante medicinali per realizzare i farmaci.
Mario Rigoni Stern ha scritto: “Per me impilare bene la legna da ardere o tracciare con ordine le linee dell’orto, è importante quanto scrivere la pagina di un racconto. Bisogna sempre cercare di fare al meglio la cosa in cui siamo impegnati, piccola o grande che sia.” Una domanda: l’orto del vicino, come l’erba, è sempre più bello?
“Fonne fonne gh’è l’ortolà, gh’è l’ortolà” è una canzone bresciana che, come molte altre riferite a mestieri ambulanti, sfrutta delle assonanze per inserire dei doppi sensi.
C’è pure “La bela la va al fosso” con l’elenco delle verdure “ravanei remolas barbabietole e spinass tre palanche al mas”. Il remolas è il ramolaccio nero, un ortaggio parente di ravanello, rucola e cavolo.
E poi ci sono: ài, pedersèm, radìs (ma poi che strombetàde), redécc, rosmarì, salvia, sìgole, articiòc, patate, pomdór, rae (barbabietole), spàres, bròcoi, verz, insalvia, rosmarì, insalatina e peerùna (che bùna la peerunada).
“Töcc i fröcc a là sö stagiù”, afferma un proverbio bresciano. E allora ecco la fröta: póm, pòm grà (melograno), pér, pirulì, seréze, maréne, càlem, pèrsec, fic, brògne, óa, portogàl, maola (fragola), caco… Si dice ‘Pa e nus, mangià de spus’, probabilmente per l’alto valore energetico delle noci, di cui i novelli sposi possono avere particolarmente bisogno. Ma allora perché Nus e pà, mangià de cà? Mistero. Quando qualcuno ti stufa, si dice “Vé mia ché a vangàm l’órt”, e quando si spettegola di persona rompi “Ìghen zó una còla”.
Per la Signora Maria (interpretata dalla brava attrice Paola Rizzi) avevo scritto l’incontro con un simpatico frötaröl: “El ghira el piö bèl banchet del mercat, el me servia semper pulito. ‘Suchilì Maria? Te ocorel el bigol del’ai? Ghó de chei capelocc che jè la fì del mond? Famm un piacere, Maria, tasta chèle peerune ché. Ghet voia de articiòcc?’ Come fae a diga de no? Era un’attrazione fatale, un amore a 365 gradi!”
Proprio da oggi ricominciamo a fare spettacoli in giro. Già molti li stanno richiedendo: dopo tante tristezze, un po’ di buonumore è un toccasana.
Nel film di Ermanno Olmi ‘L’albero degli zoccoli’ c’è il tenerissimo rapporto fra nonno Anselmo e la nipote Bettina. Sostituendo in gran segreto come concime lo sterco di gallina a quello di mucca, riesce a far maturare i propri pomodori un mese prima degli altri.
Ho letto che in una scuola superiore di Milano un preside manda gli studenti indisciplinati a zappare l’orto della scuola. All’inizio i ragazzi accettavano divertiti: rastrellano, raccolgono pietre, potano, trasportano gli scarti del verde, e hanno compreso il senso della fatica.
Nell’ettaro di terreno sul retro della scuola ora sorge un orto con pomodori e zucchine, mentre nei giardini interni ci sono coltivazioni di camelie, rose, ortensie e agrumi. E a breve potrebbero arrivare anche galline e api. Cavolo, che bella scuola!
Non posso dimenticare i migranti sfruttati in certe campagne del sud per la raccolta dei pomodori. Vivono in baracche fatiscenti, senza fogne, luce, acqua per lavarsi, sono picchiati dai “capi”: è mai possibile che non si riesca a risolvere questa dolorosa piaga umana?
C’è un detto: “Sai cosa fa un vecchio saggio alla fine della vita? Coltiva un orto.”
Il presidente Mattarella ha rivelato a una scolaresca:
«Sono vecchio e tra qualche mese potrò riposarmi». Chissà che, dopo tanti problemi, si rilasserà a coltivare un bell’orto!
“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata
a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie
Uh com’è difficile restare calmi e indifferenti
mentre tutti intorno fanno rumore…”
Così cantava Battiato. Ci ha lasciato un grande uomo, ma la poesia non muore mai. Il mio amico Beppe Mangiarini mi ha scritto: “Adesso finalmente potrà essere avvolto da quella Luce che ha cercato per tutta la vita, con gli inevitabili dubbi che ogni uomo sperimenta nella ricerca del senso della vita. Ci ha lasciato melodie piene di struggente nostalgia.”
Trattenendo la commozione, riporto alcune frasi da una sua intervista: «Mi sveglio molto presto. Ascolto la musica classica su Radio 3 per una o due ore. Poi vado nella mia veranda a meditare. Ho davanti un panorama incredibile, da Taormina a Siracusa, cielo e mare meravigliosi e poi una vegetazione ricchissima con pini secolari, alcuni così inclinati che quasi toccano terra, alberi giapponesi che danno dei piccoli mandarini, pompelmi e aranci rigogliosi malgrado siamo a 800 metri. Rose selvatiche gialle, rosse o lilla sono nate spontaneamente intorno alle palme.
E c’è l’orto, con lattughe, pomodori, patate, abbiamo piantato anche le angurie. Io guardo e basta, però!, ci sono quattro giardinieri che se ne occupano, ma ne pago soltanto uno: è una famiglia affiatata... Sono vegano, ma non stretto. Mangio alla mediterranea: sono pazzo della pasta aglio olio e peperoncino e di quella alla siciliana con pomodori a pezzettini e melanzane». Ciao, poeta!
Vorrei infine ricordare Attilio Pasini, deceduto improvvisamente a 61 anni prima di una partita di calcetto. Perito agrario ed enologo, titolare dell’azienda agricola La Torre di Mocasina di Calvagese, era il simpatico figlio della mia cara collega Neni.
L’ho conosciuta quando insegnavo nella piccola aula-vetrina di Mocasina, avevo una pluriclasse con pochi e buonissimi alunni. Spesso Neni mi invitava nella sua stupenda abitazione, era una persona molto dolce e profonda. Mi voleva un gran bene e mi diceva: “Guarda John il campanile della chiesa, non somiglia a un gatto?”.
I genitori mi regalavano uova o torte e allo spettacolo finale tutta la popolazione era accorsa. Ricordo che con la classe abbiamo vinto un concorso nazionale sul tema di San Francesco: avevamo disegnato un cartellone lungo molti metri, con disegnate tutte le parti del Cantico delle Creature.
Con l’amico Antenore Taraborelli abbiamo creato una storia in diapositive su Pinocchio, una su Cipì di Mario Lodi ed una su Gesù. Abbiamo usato i bellissimi scorci del paese di Mocasina, le vecchie case, i portoni, i campi… Anche a Mocasina ho lasciato un pezzo di cuore.
Prego per Attilio, che certamente è in Paradiso con la mamma. Mando un grande abbraccio alla moglie Elvira con Veronica e Lorenzo ed alla sorella Tullia. Coraggio!
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,
maestro John
Nelle foto:
- Il mio caro cognato Sergio Franceschetti nell’orto, con figlia e nipoti
- Nonno Antonio Abastanotti prepara i cassoni per la terra dell’orto
- L’orto di Lino (Toscolano) suocero di mio nipote Marcello. C’è la bandiera
dell'Inter: ma lo saprà che gli marcisce tutta la verdura? Eh eh eh!
- Il sottoscritto (prima di mangiare troppe pizze con cipolle) con gli alunni di Mocasina, durante la storia di Pinocchio (foto dell’amico Antenore Taraborelli)