29 Marzo 2022, 09.40
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Urbicidio, le città sempre più sotto tiro

di Valerio Corradi

La guerra d’Ucraina sta portando con sé la distruzione delle città, colpite nel patrimonio artistico e culturale ma soprattutto negli edifici abitati da comuni cittadini


La distruzione delle città sembra essere diventata una nuova terribile costante delle guerre contemporanee.
Da Sarajevo a Groznyj, dal conflitto siriano alla guerra d’Ucraina, l’aggressione sistematica a quella che un tempo veniva chiamata la “città di pietra” fa ormai parte di una strategia politico-militare che non mira alla conquista dei centri urbani, ma alla loro devastazione tesa a comprometterne irreparabilmente l’assetto materiale e nei casi più estremi a ridurli in cumuli di macerie.

Le guerre del passato vedevano confrontarsi perlopiù le compagini militari in scontri che avvenivano lontano dalle aree cittadine per poi sfociare nell’occupazione di queste ultime. Finanche la furia distruttiva nazi-fascista durante la seconda guerra mondiale, nella sua prima fase, risparmiò le maggiori città europee che vennero “tutelate” anche solo per essere esibite come preziosi trofei a testimonianza della superiorità dei vincitori sui vinti (si pensi alle famose immagini del Führer a Parigi sotto la torre Eiffel nel giugno del 1940). Sappiamo poi che il secondo conflitto mondiale finì comunque per riversarsi sulle città (es. l’assedio di Leningrado, i bombardamenti di Londra e delle città tedesche) e che di fatto fu la distruzione nucleare di due città (Hiroshima e Nagasaki) a sancirne l’epilogo.

Rispetto al passato, oggi la distruzione delle città sembra essere invece diventata un obiettivo di partenza sia delle guerre d’aggressione sia di quelle a sfondo etnico-religioso. Non importa più impadronirsi di questi vessilli materiali per rimarcare l’acquisito possesso, ma si mira alla loro cancellazione, aggredendo il patrimonio artistico-culturale e, ancora di più, gli edifici abitati da comuni cittadini.

Per designare questa tragica tendenza delle guerre contemporanee lo studioso francese Paul Virilio coniò l’emblematico termine “urbicidio” (letteralmente “assassinio della città”), proprio a sottolineare che lo spazio urbano è diventato bersaglio non solo per motivi strategici, ma soprattutto in quanto contesto che incarna identità, culture, aspirazioni e legami comunitari che si vogliono eliminare cancellando l’ambiente costruito.

Anche la recente piega presa dal conflitto ucraino assume i chiari contorni di un urbicidio perpetrato da una parte col pesante e indiscriminato assedio di molte città, dall’altra con la traduzione del conflitto in sanguinose battaglie urbane (si pensi a quanto sta avvenendo tra le macerie della “città martire” di Mariupol) condotte quartiere per quartiere alla presenza di civili.

La città da luogo di vita e dell’incontro diventa così spazio di morte assumendo i tetri contorni di luogo fantasma il cui domani (se mai ci sarà) è sempre più lontano. Un altro tratto dell’urbicidio è la sua logica del “distruggere per distruggere” e del “tutto è permesso” che rivela quei tratti nichilisti che proprio i grandi maestri della letteratura russa avevano descritto nelle loro opere. In definitiva, l’annichilimento delle città ucraine è uno dei risvolti più cruenti di un conflitto che al momento sembra avere poche vie d’uscita e che tutti si devono augurare non nasconda, come in altri noti casi della storia passata, una ancor più inquietante volontà di auto-annientamento.

In foto (AP Photo www.rainews.it) il teatro di Mariupol, in Ucraina, bombardato di recente




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