13 Novembre 2021, 08.00
Blog - Genitori e figli

I giochi violenti di Squid Game

di Giuseppe Maiolo

Da quasi due mesi si sta parlando di Squid Game, il “Gioco del calamaro” la serie TV coreana che sta spopolando


Ad oggi più di 130 milioni di persone, tra cui una grande quantità di bambini, hanno visto il thriller coreano decretandone un successo planetario.

Successo pare determinato dai contenuti che affronta, ma anche dalla forma comunicativa ricca di suspense e colpi di scena terrificanti che incollano al video lo spettatore. Ne ho viste anch’io alcune puntate e devo dire che, oltre al ritmo incalzante che attrae, Squid Game intercetta emozioni e sentimenti, mettendo in circolo una quantità di vissuti.

In gran parte paradossale, a mio avviso, Squid Game è una narrazione della realtà nella quale viviamo e una lettura di come la stiamo rappresentando a noi stessi e agli altri. Rappresentazione ansiogena e terrorizzante, dove violenza e morte sono spettacolarizzate.

Si racconta di un gruppo di persone che “liberamente” partecipa ad una competizione in cui in palio c’è una grossa somma di denaro con la prospettiva di poter cambiare la propria condizione di vita e uscire dalla povertà o dalla disperazione.

In Squid Game però il gioco è particolare. Chi perde non va a casa, ma viene ucciso. E allora tutto diventa una prova estrema per la sopravvivenza, dove è in gioco la vita. Lo capisci fin dall’inizio con il famoso 1,2,3 stella, dove l’eliminazione è fisica. Comprendi che la chiave di lettura di questa storia in 9 puntate, è quella dichiarata da un vecchio malato di tumore che dice “La vita è un inferno, persino peggiore di quel gioco”.

Non si tratta allora solo di come si vive la quotidianità in una società con forti disuguaglianze sociali come è quella coreana, ma della “vita come competizione estrema”, come dichiara apertamente lo stesso regista.

Diverse sono le storie, raccontate peraltro con l’ausilio di numerosi elementi simbolici, che passano attraverso vari giochi e sono conditi da azioni di violenza e morte, dove la risposta emotiva di chi partecipa è polarizzata, di grande sofferenza o di totale indifferenza.

E non è sottotraccia una costante deumanizzazione degli eventi violenti che alla fine rende indifferenti alla sofferenza umana e riduce o sopprime compassione e partecipazione empatica.
 
Allora, vista la diffusa popolarità della serie coreana, nasce la domanda: Squid Game è adatto ai minori, anche quelli superiori a 14 anni? Non stiamo già accettando a sufficienza che i bambini siano sempre meno capaci di cogliere le emozioni degli altri e trovino spesso divertente il gioco delle prevaricazioni dei bulli?

Ho sentito madri riferirmi preoccupate che già molti bambini hanno visto Squid Game e che alcuni di loro ne propongono l’imitazione di alcuni giochi. Ma sento anche dire che le violenze della serie coreana non sono peggio delle tante che circolano in TV. Non nego che sia vero, ma temo fortemente che le tematiche di Squid Game aumentino nei bambini e negli adolescenti il rischio di emulazione degli atteggiamenti violenti.
Senza allarmismo, ricordiamoci che loro non sono in grado di decifrare le immagini che vedono né distinguere la realtà dalla finzione. Hanno bisogno di adulti responsabili, e non del Parental Control, per essere quanto meno accompagnati ad affrontare questi argomenti.


Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
www.officina-benessere.it



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