04 Marzo 2022, 08.00
Blog - Genitori e figli

Come raccontare la guerra ai bambini

di Giuseppe Maiolo

Tempi di guerra. Terribili tempi di devastazione che colpiscono innocenti e che, diceva Hannah Arendt, non restaurano diritti ma ridefiniscono poteri. In ogni caso immagini di distruzione e morte che ci riempiono gli occhi e i pensieri di paura e ansia

I bambini non sono estranei a tutto questo. Anzi respirano il nostro smarrimento e l’angoscia che ci assale. Ma rimane compito dei grandi proteggerli e aiutarli a capire la tragedia che si consuma a poca distanza. 
 
Prima cosa allora, non lasciamoli soli davanti alla TV a vedere sparatorie bombe e esplosioni. Fino agli 8 anni, non hanno ancora elaborato bene il concetto della morte anche se la recente pandemia li ha messi in contatto con le perdite umane e l’incertezza della vita. 
I carri armati e i soldati che uccidono, invece possono terrorizzare i più piccoli e non è raro che qualcuno si inquieti di giorno e di notte fatichi ad addormentarsi o si svegli di frequente.  
 
Vedere con loro la guerra “televisiva” è fondamentale perché vuol dire condividere le emozioni che si provano ma anche l’occasione per ascoltare i loro vissuti e le domande che hanno. 
 
A volte è il caso di sollecitarli a parlare di quello che accade se sono taciturni, ma non facciamo interrogatori. Piuttosto chiediamo come si sentono. Cerchiamo le parole adeguate alla loro età per dire che cosa sono i conflitti e spiegare che la guerra che vedono in TV non è un gioco ma un reale fallimento degli uomini quando non sanno trovare accordi.  
 
Serve sottolineare che i combattimenti e le esplosioni non sono uno spettacolo né un videogioco perché non confondano la realtà con la fiction.
Rassicuriamoli invece con parole semplici e chiare ma senza aggiungere alle loro paure le nostre angosce, anche se le viviamo. Accogliamo i loro vissuti e aiutiamoli ad esprimerli, non a rimuoverli e a tenere per sé emozioni e sentimenti negativi che devono essere elaborati e trasformati con l’aiuto di un adulto.
 
Per gli adolescenti invece il discoro è diverso. Loro hanno più strumenti con cui leggere gli accadimenti, ma vanno guidati a capire cos’è la violenza, “educati” alla conoscenza di altri modi per gestire i conflitti e mediare anche se oggi dobbiamo ammettere di non saper negoziare. 
I giovani, che sono per natura portati a ricercare il senso della vita che stanno scoprendo, hanno bisogno di essere pienamente consapevoli di quanta violenza si respiri ovunque. Dobbiamo aiutarli a riflettere su quei comportamenti di ostilità e intolleranza quotidiana che “insegnano” la prepotenza senza che nessuno poi la faccia “disimparare” e educhi  a coltivare l’attenzione per l’altro. 
 
Se vogliamo davvero aiutarli a leggere la guerra come una conseguenza della violenza quotidiana, dobbiamo cominciare ad ascoltarli. E con attenzione. Spesso lamentano di non riuscire a dire i loro pensieri agli adulti, perché a casa tutti sono indaffarati e a scuola c’è il programma da svolgere. 
 
La scuola allora, di ogni ordine e grado, dovrebbe diventare subito un cantiere di lavoro dove aprire il confronto sulla guerra e allargare l’angolo di osservazione con il contributo di docenti di materie diverse. Personalmente vorrei che con questa occasione si aprissero laboratori permanenti dove insegnare la gestione dei conflitti e educare all’empatia.
 
Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento


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