14 Novembre 2020, 06.22
Blog - Circolo Scrittori Instabili

La sparizione

di Giovanni Zambiasi

Il vecchio Malghese, paralizzato dalla sorpresa, guarda le tre persone che salgono dalla carrareccia con passo veloce, sono forestali e il pensiero corre alle trappole per gli uccellini che sistematicamente gli procuravano – ogni fine estate e autunno – numerose prede...


... Il cuore in gola non permette di nascondere l’agitazione che lo stava avvolgendo.

Sarebbe la prima volta che lo trovano con le mani nel sacco, e già sarebbe abbastanza, ma cosa succederebbe per la multa e per la sua reputazione di esperto bracconiere mai preso? E poi, che male c’è? I trentini ne uccidono milioni con i pesticidi che usano per irrorare ”i pomi” che poi vengono mangiati dai “verdi” che odiano la caccia. Lui ne fa fuori soltanto alcune decine per gustarli nello spiedo o in padella con le patate, insieme agli amici di sempre che vengono su a trovarlo per assaggiare questo antico piatto, tipico dell’autunno e trascorrere alcune ore in amicizia. Pensieri confusi che si accavallano alla rabbia e alla paura.

Rosso come un pondor [trad. “pomodoro”], fingendo di pulire sul pulito con il badile invece del rastrello, li accoglie con uno stentato: “Buongiorno…”

“Buongiorno Sig. Giovanni! El ciape mia pora, som mia che per gli archech, ghel dise prima che rive l’infarto” [trad. “Non prenda paura signor Giovanni, non si preoccupi, non siamo qui per gli archetti, tranquillo prima che le venga un infarto”]

Ridacchiando il Giacomo-guardia-forestale che ben conosceva el Gioanì si avvicina deciso sedendosi sulla staccionata, gli altri due poco distanti zitti ma con facce sorridenti collaborano ad abbassare i battiti cardiaci del Malghese. Come sempre il bottiglione di vino compare dal nulla e in breve i tre: due forestali e il responsabile di zona del soccorso alpino, spiegano, con il bicchiere in mano, che un ragazzo di nome Angelo è sparito da ormai 1 settimana. La sua macchina parcheggiata vicino alla “Pontesela” aveva indirizzato la ricerca nella Valle dei Cuel, ma niente, solo tracce di un bivacco al “Cuel del Fiorese” e il ragazzo sembrava essersi volatilizzato. Giovanni sbiancando, racconta come un torrente in piena, l’incontro con Angelo, la serata passata insieme, i racconti e – quasi piangendo – l’indicazione data da lui stesso, a seguire il sentiero vecchio, ma anche l’avvertimento a stare attento: la zona abbandonata da cinquant’anni o più non avrebbe permesso soccorsi immediati.

“Ma el gnaro me someaa galindo, pense mia che el pode pirdis, magari l’è amò en giro ad esplorare, ricorde chel’vulia troà la cascata delle dame… Ma na setemana?! Me somea trop… Sarà suces vergot? Veramente comandante, l’Angelo, lè partì a bunura la matina del Martede, quater dì endre” [trad. “Il ragazzo sembrava sveglio, non penso possa essersi perso, forse è ancora in giro a esplorare, ricordo che cercava la cascata delle due dame! Ma una settimana mi sembra tanto tempo! Sarà successo un incidente? Angelo comunque è partito la mattina presto di martedì, quattro giorni fa]

Forse c’è ancora tempo, pensa.

“Ve compagne!” [trad. “Vi accompagno io”]

I forestali tranquillizzano il Malghese, spiegando che non è colpa di nessuno, e che comunque alla sua età e con i cavalli da accudire non era il caso, ma un grande aiuto poteva essere marcare sulla cartina geografica, il punto dove i due rii formano la cascata e il tracciato del sentiero. Presi gli occhiali in pochi minuti indica i passaggi e i bivi, mescolando le linee con il racconto di quando era giovane, con le gambe buone che lo portavano veloce nei luoghi di caccia. Il trio, piegata la carta e rassicurando che ci avrebbero pensato loro, salutano non senza avvertire che gli archetti e le trappole per gli uccellini sono illegali e che la pazienza ha un limite e che anche se vecchio la multa si paga ugualmente salata e promettendo una prossima visita a sorpresa meno amichevole.

Guardandoli andar via, Giovanni osservando i tre bicchieri ancora pieni, pensa a quanto siano stati maleducati a non assaggiare il vino. Malgrado il sollievo di avere tempo per spostare le trappole, il suo cervello si concentra su cosa poteva essere successo ad Angelo e dove. Le nuvole nere verso ovest non raccontano niente di buono e il vento da nord invece del solito e quieto sud, convincono a mettere gli animali al riparo nella stalla. A fine estate i temporali fanno paura, fulmini e grandine per oggi possono fare quello che vogliono, nella grande stalla di sicuro non possono entrare.

Il mattino arriva presto e la squadra di ricerca si prepara togliendo dai fuoristrada corde e zaini di primo soccorso, radio e sistemi GPS. I due forestali che li accompagnano, conoscitori esperti dei luoghi, aspettano che tutti siano pronti osservando i vapori dell’umidità rilasciata dal terreno caldo dopo il forte temporale che si sollevano dal fondo valle. Finalmente si parte, la sera prima avevano individuato la traccia del vecchio sentiero sulla mappa, adesso bisognava trovare l’imbocco che dal passo scendeva nella Valle di Vesta. La grande faggeta non ha sottobosco e la visuale è chiara. Il gruppo percorre il sentiero principale che si snoda a mezza costa, sembra stiano cercando funghi ma l’attenzione è rivolta alla ricerca di un segno per riconoscere il vecchio sentiero. Giacomo vede all’improvviso una sagoma: l’uomo seduto su una grossa pietra, sembra intento a finire un panino.

“Buongiorno l’è en po che Ve spete!!! El senter l’è che, o pensà de compagnave, vores aidà a troà el gnaro” [trad. “Buongiorno, è un po’ che vi aspetto!!! Il sentiero parte da qua e ho pensato di accompagnarvi per aiutarvi a trovare il ragazzo”]

“Buongiorno, grazie… ma è sicuro di farcela Sig. Giovanni?”

Giovanni senza rispondere, rimette la bottiglia di acqua, limone e miele nello zaino e parte deciso in discesa verso la Valle, il gruppo lo segue. Non lo avrebbero mai visto! L’imbocco sembra più uno scolo di acqua piovana, un canale pieno di sassi e alberi ormai veri padroni del tracciato. Non potendo percorrerlo devono farsi strada tra i rami secchi caduti zigzagando a destra e a sinistra dove possibile. La roncola e ogni tanto la motosega devono intervenire per preparare l’eventuale ritorno con una barella, i forestali e i tre del soccorso alpino lavorano duro scambiandosi commenti e ascoltando le storie che il Gioanì racconta mentre cammina, arrabbiato per il fatto che una volta i sentieri erano puliti, le montagne lavorate e che adesso non è più come un a volta e che se torna la guerra e la fame come faranno i giovani… non sono più abituati a lavorare come i vecchi. Il temporale ha cancellato qualsiasi traccia sul terreno, ma alcuni rami spezzati di recente fanno pensare che qualcuno sia passato: un uomo o forse un cervo, comunque non un cinghiale, qualcosa di più ingombrante.

“Ghe som!” [trad. “Ci siamo”]

Il Malghese ferma il gruppo nei pressi di un torrente, il sentiero si divide poco prima: a destra risale la stretta valle sul lato del torrente, a sinistra lo attraversa poco più avanti. Seguono Giovanni che di colpo, ripreso fiato, prende la testa del gruppo e a salti risale i gradoni scavati dall’acqua piovana, pochi metri e sono lì. Giacomo e Paolo da anni ormai lavorano sulla montagna, ma restano sbalorditi dalla bellezza di quell’angolo nascosto: la grande pozza riflette il verde intenso della foresta facendola sembrare ancora più profonda, la fitta siepe di fragile equiseto ai bordi e il crescione galleggiante negli angoli senza corrente creano un effetto di continuità tra l’acqua e la terra, la cascata scende da uno scivolo di tufo senza impeto ma potente. Un insieme unico che unito ad alcuni pesci che scompaiono velocemente sotto il crescione e sotto il ribollire della cascata, lascia tutti senza parole facendo dimenticare per pochi attimi il motivo della loro presenza lì.

Il Malghese parla per primo: ”Che se vede gnent e nisù…” [trad. “Qui non si vede niente e nessuno”]

Paolo e Giacomo con i tre del soccorso Alpino guardandosi in giro capiscono che nessuno è stato lì di recente. Un buco nell’acqua!

Seduti a riposare mangiando un boccone, è Mario a rompere il silenzio:

“Cos’è quell’affare attaccato al salice?”

Il Malghese per primo scatta e si avvicina all’albero, bellissimo con le radici tra la terra e l’acqua, pilastro vivente al fianco della cascata.

“L’è la medaia del gnaro!!!” [trad. “È il medaglione del ragazzo!”]

La scossa elettrica fa alzare tutti: il medaglione con l’albero inciso è lì tra i rami del salice, la prova che Angelo è stato in quel luogo. Giacomo all’imbrunire raduna tutti per rientrare, hanno cercato ovunque ma senza trovare nemmeno un capello di Angelo, solo il medaglione ritorna con loro accompagnato dalle infinite domande senza risposta.





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