01 Dicembre 2020, 06.30
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Guerra o Pace?

di Bianca Patrizi

Non so come ho conosciuto Bianca. Mi piace ripetere che sia stato per caso, anche se entrambe sappiamo che nulla avviene per caso..


... Quando mi ha vista seduta sul bus con quell’arma appoggiata in grembo e gli occhi semichiusi, ha sgranato i suoi e ha trattenuto il fiato. Non poteva sapere allora, che quello che credeva un semplice fucile, fosse invece IL fucile mitragliatore d’assalto per eccellenza, nato (si racconta) in una grotta degli Urali, derivato dallo STG44. Migliore dello STEN inglese, migliore del MAUSER tedesco; in grado di sparare, in qualsiasi condizione, dieci proiettili al secondo, a una velocità di 715 mt al secondo; il che significa che un caricatore standard da trenta colpi si esaurisce in tre secondi di fuoco automatico. IL Kalashnikov AK-47.

Né io potevo sapere, allora, che lei aveva già vissuto i suoi incontri ravvicinati, molto ravvicinati, con le armi. Aveva cominciato da piccola a giocarci. Un po’ maschiaccia e un po’ monella, dopo tanti film della serie Arrivano i nostri, aveva chiesto e ottenuto per Natale, una pistola a tamburo, che non sparava niente, ma faceva un gran baccano. E ci si divertiva anche! Quando l’amica di sua zia si abbioccava sulla poltrona guardando la TV, sparava un paio di colpi e quella povera fornaia stremata sussultava come se le fosse esploso il cuscino sotto il sedere. Lei e la zia istigatrice si facevano di quelle risate!

Poi aveva incontrato la sua prima arma vera e le cose erano cambiate. Aveva forse nove o dieci anni allora, e aveva accompagnato suo padre a caccia, una mattina d’autunno. La campagna era ancora umida e fragrante della brina mattutina e quel velo di foschia rendeva tutto così magicamente impalpabile e vago… finché lo sparo potente e improvviso aveva zittito di colpo i passeri, dopo il frullare d’ali frenetico e spaventato dei superstiti. Suo padre aveva raccolto il piccolo ferito e lei si ricorda ancora oggi la sua mano grande e calda che racchiudeva il batuffolo di piume, ma soprattutto non riesce a dimenticare quegli occhietti vispi che la guardavano. Aveva dato per scontato che lui, suo padre, avrebbe soccorso il piccolo. Invece, con un colpo secco, il cacciatore aveva gettato con forza l’animale contro il calcio del fucile, finendolo, e lei aveva sollevato lo sguardo incredulo. In un raro momento di intesa reciproca, lui – suo padre – aveva stretto le labbra.

«Dispiace anche a me», aveva ammesso, «ma ormai era ferito e stava soffrendo».

Il successivo incontro con un’arma era stato sconvolgente, ma per caso o per fortuna, non tragico. Il terzo, invece, era stato devastante. Il quarto, l’aveva fatta fuggire. Poi, la scoperta che non è l’arma in sé ad essere pericolosa, ma l’uso che se ne fa. Un coltello puoi usarlo per affettare il pane e dividerlo con gli amici. Un ferro per stirare, per accarezzare una camicia sgualcita e ridarle vita e dignità. Oppure no.

Bianca aveva preferito la fuga e grazie al cielo, le era stata concessa. Io avevo dovuto scegliere se sparare a chi avevo di fronte, sparare a me o non sparare. Dicono che siamo gente dura. Dicono che la terra forgia. Può essere. Era stata mia nonna a insegnarmi a sparare. Uno dei migliori cecchini, perché già allora avevano capito che le donne erano migliori degli uomini: battito cardiaco più basso, quindi più precise, perché mano più ferma. Non solo. Anche nelle fabbriche dell’AK-47 la maggior parte degli operatori è di sesso femminile. Io ci ho lavorato per anni. Pare che la nostra perizia superi quella maschile.

Quando l’ho raccontato a Bianca, ne è rimasta stupita. Lei continua a sostenere che le armi siano pericolose e quando sono venuta in Italia a trovarla, mi ha portato al Museo XX Secoloi, a Desenzano del Garda. Credeva di stupirmi con effetti speciali, ma non è stato così. Al contrario. Fucili, mitragliatori, cannoni… ordinaria amministrazione. Già le maschere anti-gas l’hanno impressionata, ma è stato davanti al lanciafiamme che Bianca ha avuto un piccolo cedimento. Paradossalmente, più l’arma era potente, meno lei sembrava toccata. Quando siamo arrivate davanti alla catena spinata si è fermata di colpo. Poi le ho spiegato come veniva utilizzata la coda d’istrice, ma soprattutto che derivava dagli antichi Romani e lei mi ha fissata inorridita, a mascella pendula, stile trota che boccheggia. Ma è stato l’azzoppamuli a darle il colpo di grazia. Credo si sia ricordata in quel momento di una mostra itinerante vista in Toscana tanti anni prima, sugli strumenti di tortura utilizzati all’epoca dell’Inquisizione. La Vergine di Norimberga era qualcosa di doloroso, lo ammetto, ma c’è di peggio nella vita.

Abbiamo passato il resto del pomeriggio sedute a un bar a bere lei vodka e io grappa (amiamo gli scambi culturali), guardando il lago, il cielo, il Baldo, i gabbiani in volo, le papere, i cigni, gli alberi delle barche a vela ormeggiate. Ho dovuto guidare io al ritorno, perché lei aveva un po’ di nausea. Sostiene di soffrire il mal di mare e altalene e barche ondeggianti le danno fastidio, ma non so se era per quello che le girava la testa.

È strano come Bianca e io ci siamo intese con uno sguardo, su quel bus. È strano che ancora adesso ci scriviamo regolarmente, nonostante lei sia sempre convinta che le armi siano pericolose, e io che siano una benedizione del cielo. Ma veniamo da terre diverse e abbiamo affrontato situazioni diverse. Lei continua a scappare, io a viaggiare col mio AK-47 in grembo, ma entrambe con lo stesso obiettivo: rimanere in vita.

Mi auguro solo di non trovarci un giorno, una contro l’altra. Potrebbe anche essere che Bianca, nonostante il nome candido, si tinga di sangue e io decida di non sparare. Sarebbe un peccato.

Do svidanije*.


* il termine, di origine polacca, è formato da due parole distinte «do» e «svidanjie» che, tradotte singolarmente e letteralmente, significano: «fino al prossimo incontro», che è esattamente il significato che deve emergere dal testo.

i miei ringraziamenti ai volontari del Museo XX Secolo di Desenzano del Garda (BS) che mi hanno fornito le informazioni tecniche e storiche con cortesia e competenza rare.




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