Quante volte abbiamo sentito lamentele di questo tipo: “I social sono l’origine di ogni male della gioventù!”, “L’uso dei social riduce le capacità dell’intelligenza!”. Se poi, chi parla, ha un residuo di vera fede cattolica, potrebbe anche affermare indignato: “I social sono l’inferno. La dannazione eterna dell’intelletto umano!”. Ora mi domando: diremmo la stessa cosa della scrittura? Saremmo disposti a sostenere che è orribile e deleterio per l’intelligenza scrivere e imparare attraverso segni calligrafici? Non proprio, suppongo. Eppure, una simile critica alla scrittura è stata... scritta. E non certo da un Panco Pinco qualunque, ma dal grande filosofo greco Platone. Egli, in uno dei suoi due dialoghi dedicati all’amore, il Fedro, fa raccontare a Socrate il mito del dio egiziano Teuth.Si tratta del dio che ha regalato in dono all’umanità la scrittura alfabetica. “Che bella cosa che ha fatto questo dio!” potremmo pensare noi insegnanti. Ed invece, nel racconto di Socrate, il dio viene apostrofato dal saggio re egizio Tamus. Egli gli rimprovera il fatto che l’alfabeto porterà solo danni agli uomini. Ecco le sue parole: “L’alfabeto ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché, fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di sé stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienza”. Insomma, la scrittura avrebbe reso le persone meno dotte e più stolte. Proprio ciò che molti oggi pensano come effetto dei social sulle avide giovani menti odierne. Chissà quale Capo di Stato, però, avrebbe oggi il coraggio di chiamare gli “dei” che hanno inventato i social (gli dei Jobs e Zuckerberg, per esempio) e apostrofarli con garbo come ha fatto il re egizio Tamus con Teuth. Perché, a dirla tutta, i lamentoni, solitamente, non sono coraggiosi. Essi sono per lo più pesanti da sopportare: si sfogano con chi non c’entra nulla!Ora, ho fatto leggere il mito di Teuth ad alcuni studenti la settimana scorsa. Diversamente da come ci si sarebbe potuto aspettare da questi degenerati che usano le nuove tecnologie, hanno deciso che a loro non piaceva la critica alla scrittura del re Tamus raccontata da Socrate, ovvero Platone. Di conseguenza hanno pensato a due potenzialità della scrittura che bilanciassero le due critiche di Tamus. Hanno quindi deciso di riscrivere e aggiornare il mito di Teuth di Platone. Sì, sì! Non sto mentendo! Studenti, considerati dementi dai lamentoni che li immaginano dementi a motivo dell’uso da loro fatto dei social, hanno pensato di non essere d’accordo con Socrate e, di conseguenza, lo hanno criticato.A loro giudizio, infatti, la scrittura ha due caratteristiche positive nello sviluppo dell’intelligenza umana. “La prima, caro il nostro bel Tamus, è che la scrittura impone di pensare a ciò che si scrive. Mentre chi discute oralmente non sempre pensa bene a ciò che dice. Nello scrivere, è necessario attivare il pensiero. La scrittura sviluppa il raziocinio critico. Inoltre, seconda sua caratteristica positiva, lo scrivere aiuta ad imparare ad esprimersi con più chiarezza, perché per comunicare con gli altri in maniera chiara non è sufficiente ricordarsi qualcosa a memoria, ma è necessario anche possedere la perizia di esporlo in modo da farsi ben comprendere. Questa perizia è la scrittura a formarla”.Avendo assistito con i mei stessi occhi e i miei orecchi a questo evento di riscrittura del Fedro di Platone, posso concludere solo in un modo: non sono i social a bloccare l’intelligenza dei giovani. Sono le lamentele di chi, di generazione in generazione, non ha il buon senso di comprendere ciò che, probabilmente, è solo fuori della portata della sua fossilizzata intelligenza.