Un «mito» rivelatosi vero uomo
Alle volte la vita regala belle sorprese. Ma con quale atteggiamento decifrarle? Perché, per esempio, ha concesso a me ed altri amici di collaborare poco tempo fa con Charlie Cinelli?
fattoria, con quelli della giungla, con le macchinine...
Ogni tanto una partitina con il Sega Mega Drive, una delle prime due console da casa in voga a quel tempo. “Street Fighter II” e “Mortal Kombat” erano decisamente i nostri videogame preferiti. Tra una giocata analogica e una digitale, alle volte guardavamo volentieri un film di Bud Spencer e Terence Hill. In questo caso il must ere: “Altrimenti ci arrabbiamo”.
Oltre a tutto questo e molto altro, spesso, mentre si giocava, parlavamo in dialetto. Proferivamo inenarrabili stupidate, che spesso facevano volentieri sorridere gli adulti a noi intorno. Ma non solo lo parlavamo, il dialetto. Lo ascoltavamo cantare da colui che, al tempo, era per noi due un mito della musica rock bresciana: Charlie Cinelli. Abbiamo decisamente macinato la sua musicassetta dell’album “Greatest Tits” (1993). Mai immaginavo all’epoca che, più di trentacinque anni dopo, mi sarei ritrovato con altri amici musicisti a suonare insieme con lui.
Sta di fatto che ciò è accaduto poco tempo fa, quando, tra febbraio e maggio 2025, abbiamo avuto l’onore e il grande privilegio di poter collaborare con Charlie alla realizzazione della canzone dedicata al nostro bel paesello: “Biù, Biù, l’è dal hul”. In particolare, il 19 di maggio scorso, durante la Jungle Fest, lo abbiamo accompagnato in un mini-concerto dal vivo. La cronaca dell’evento è già stata pubblicata e la si trova a questo link: https://www.vallesabbianews.it/it/notizie//2025/05/19/charlie-cinelli-canta-biu-un-inno-per-bione
Per chi scrive, ciò che è accaduto, non è solo un fatto di cronaca, ma un evento. La differenza è presto detta: un fatto è solo ciò che succede. Un evento è ciò che stupisce. Tutti e due accadono, ma il primo ci risulta indifferente e irrilevante; il secondo, per contro, ci comunica il senso stesso dell’esistenza. C’è una bella differenza, no, fra fatti ed eventi? E sì, perché a quel ragazzino idiota (chiamato amorevolmente “Paiaso” dal nonno) che ascoltava e cantava “El papagalì”, “Ninna nanna del malghese”, “Va Gina”, ecc., la vita, non si sa il perché, ha concesso il dono di suonare con l’autore.
Per queste ragioni, il minimo che si possa fare in circostanze simili è restituire il senso di questo evento, raccontando qualcosa del protagonista, ovvero di Charlie. Chi lo conosce almeno un poco, sa che tratta di un uomo simpatico ed istrionico. Nonostante sia un ottimo e noto musicista (sia di basso sia di chitarra, mandolino, ecc.), non è tuttavia uno che “se la tira”. Come in tutte le persone davvero competenti in qualcosa, anche in lui si percepisce il fondamento su cui tutto si è costruito: l’umiltà.
Qui però è bene chiarirsi. L’umiltà non è la falsa modestia, sfoggiata da chi desidera solo essere ben adulato dagli altri. L’umiltà è la virtù di chi ama imparare, quella grazie a cui si diventa realmente versati in un’arte. Ho percepito più di una volta questa virtù in Charlie. Il momento più chiaro è stato quando con grande delicatezza mi disse, durante la breve sessione di prove pre-concerto: “Al posto di fare il Si-, prova a fare un MI maggiore con il basso del Sol ♯”.
Meravigliosa dissonanza. Come lo è l’umiltà, appunto: la stupenda dissonanza d’animo che elimina l’arroganza e sviluppa competenza. E di competenze Charlie non ne ha solo di musicali. È studioso raffinato del dialetto, dell’italiano, conoscitore di interessanti storie di uomini e donne della brescianità e di chissà quant’altro.
Un ulteriore tratto della sua personalità l’ho scoperto poco prima di salire sul palco con lui. Tutti eravamo abbastanza agitati per l’emozione. Anche in questo caso, si avvicina e, con tatto, mi dice: “Sono queste le occasioni che mi rendono felice di cantare e suonare. Farlo per la gente, così un clima di fraternità paesana. Non sono mai stato a mio agio con in grandi salotti dei vip”. Ora, detto da chi alcuni di quei salotti li ha frequentati, è qualcosa di molto bello e significativo da ascoltare.
Quel “mito”, la cui voce e musica era apprezzata un tempo mentre la si udiva uscire dallo “scatolot che baioca”, si mostrava ora apprezzabile anche come uomo. E si può essere sicuri che è la verità. La prova? Perché l’ha confidato a uno come me: un signor nessuno in campo musicale, che suona discretamente la chitarra per puro piacere personale e per allietare gli amici. In altre parole, non aveva nulla da guadagnarci. Perciò... È la verità.
Questo, direi, è esattamente il nocciolo filosofico di questo evento: aver incontrato un uomo noto che ama ancora la musica, il suonare, il cantare in amicizia ed allegria in mezzo alla gente, più di quanto non tenga a guadagnar denaro e successo. Non è poco questo come esperienza di vita.
Men che meno in una società come la nostra, che è stata definita da T. W. Adorno e M. Horkheimer come la società dell’industria culturale, in cui anche la musica (come ogni altra arte) è sovente ridotta solo ad un mezzo per accumular fama e danaro. In questo la fortuna di aver incontrato uno come Charlie Cinelli è segno di grande speranza. Ti ridona l’entusiasmo verso la verità più vera dell’esistenza umana che si intercetta solo nella gratuità e nella condivisione fraterna di passione e conoscenza.
Non è necessario quindi conoscere il perché tutto ciò sia capitato. Chi lo sa? Ciò che conta è la gratitudine che si percepisce nel farne parte, proprio in quanto non lo si sarebbe mai immaginato. Queste parole sono il tentativo, speriamo non troppo sbadato, di comunicare, tramite una singolare esperienza personale, come alle volte si comporta la vita quando ci sfugge dalle mani con l’intenzione di entrarci nel cuore.