Cinquant'anni fa, quando crollò il paese
di Ubaldo Vallini

Domenica scorsa Levrange ha ricordato le giornate dicembrine di cinquant'anni fa, quando l'acqua caduta incessantemente si portata via gran parte del paese.

Sono passati cinquant’anni, ma il ricordo di quello che accadde è talmente impresso nella memoria di chi ebbe la sventura di viverlo in prima persona, che domenica a Levrange sono scorse ancora lacrime. Certo di commozione, non più di dolore.
Occhi lucidi all’inizio del suo intervento anche e soprattutto per Giacomo Bonomi, “l’avocàt”. L’otto dicembre del 1959, quando gran parte di Levrange, vittima di uno smottamento causato dalla prolungata pioggia, scivolò a valle, il sindaco era lui: “Oggi vi sembrerà strano, con le meraviglie di cui è capace la Protezione civile – ha detto ai suoi compaesani -, ma allora c’era solo la Giunta comunale, c’erano i coriacei abitanti di Levrange e c’era don Luigi Bresciani. Il resto abbiamo dovuto inventarcelo noi”.
 
“Bartolomeo Dusina, Benedetto Flocchini, Emilio Zanolini e severino Zambelli – ha detto Bonomi ricordando per nome gli assessori, che ne sono rimasti vivi solo un paio -. Le prime avvisaglie le abbiamo avute il sei dicembre, quando don Luigi ci chiamò per dirci che una crepa attraversava tutto il paese ed aveva rotto la pietra di un portale. Tre giorni dopo, con la pioggia che non cessava di cadere, c’erano solo rovine. Centoottantasei persone sfollate, in una frazione che ne contava 271, nessun ferito. Abbiamo dovuto prendere delle decisioni difficili, ma alla fine, con l’aiuto del prefetto di allora dott. Cappellini e con il supporto dell’esercito, siamo riusciti a limitare i danni alle cose”.
 
Furono giorni difficili: cento e più persone vennero ricoverate a Vestone nella caserma Chiassi, 48 ragazzi presero a frequentare la scuola a Livemmo.
I cittadini di Levrange e con loro l’amministrazione comunale, contro il parere dei più, fozarono la situazione perché il paese fosse ricostruito lì accanto, invece che altrove. E perchè gli alloggi venissero edificati subito in muratura, invece che in legno come prevedeva la disposizione ministeriale.
 
“E’ per questo che da noi non ci sono le baracche come ci sono ancora a Messina e nel Belice - ha voluto puntualizzare il vecchio sindaco.
La costruzione di 68 alloggi su terreno demaniale, assegnati alla famiglie per sorteggio, venne conclusa a dicembre del 1962 e solo l’hanno scorso si è concluso il complesso iter di assegnazione delle proprietà, mentre restano da assegnare ancora alcuni terreni.
Alcune case della vecchia Levrange fra quelle inizialmente dichiarate inagibili sono rimaste in piedi e ce n’è qualcuna che è ancora in attesa di ristrutturazione.
 
Dopo Giacomo ha preso la parola il fratello Alfredo, storico, ricordando le due piazze del vecchi paese, le balconate, gli arredi di qualità, gli elementi architettonici unici nel panorama valsabbino: “Un paese che nel periodo di maggior frequentazione era arrivato ad ospitare 700 abitanti”.
Di quella storia rimangono i ricordi di chi ormai non è più giovane, le fotografie dell’epoca, la ricostruzione minuziosa contenuta nel libro “Pioveva” scritto da don Luigi Bresciani nel 1984, il cortometraggio “Paese senza Natale” che il regista salodiano Angio Zane presentò alla mostra del cinema di Venezia nel ’60.

 

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