Il cinghiale della solidarietà
di Ubaldo Vallini

Un cinghiale ciascuno non fa male a nessuno. Il detto non proprio quello, ma si sa: chi vive e in modo gagliardo la montagna non ci va tanto per il sottile. Per capace come pochi di slanci di solidariet.

Un cinghiale ciascuno non fa male a nessuno. Il detto non è proprio quello, ma si sa: chi vive e in modo gagliardo la montagna non ci va tanto per il sottile. Però è capace come pochi di slanci di solidarietà.
Ecco in sintesi com’è nata l’operazione “un cinghiale per i nonni” che ha coinvolto i cinghialai del Comprensorio di caccia C7 della Valle Sabbia e le case di riposo del territorio di sua competenza che sono quelle di Bagolino, Nozza e Vobarno.
A sostenere i cacciatori nella loro generosità, una stagione di caccia ricca di soddisfazioni, almeno per coloro che si sono appassionati alla caccia al suino selvatico, preda che da qualche anno, non senza polemiche, ha preso ad grufolare anche i territori della Valle Sabbia.

Una caccia "matura"
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“Una stagione di segno decisamente positivo: trenta gli animali concessi dal piano di abbattimento, trenta quelli abbattuti – conferma Alessandro Ferraglio, da alcuni anni tecnico faunistico del C7 -. A questi si sono aggiunti altri cinque animali chiesti e concessi in seguito. Di questa prede aggiuntive tre hanno trovato giusta collocazione sulle tavole dei nonni valsabbini, le altre due serviranno per una cena sociale fra cinghialai”.
Dopo anni di “assestamento”, insomma, la caccia al cinghiale sta prendendo piede anche per nel comprensorio alpino della Valle Sabbia presiduto da Roberto Betta.

I cinghialai del C7 sono quasi cento.
Così gli ultimi tre mesi dell’anno appena trascorso, che è poi il periodo concesso per la caccia a questo genere di preda, si sono date da fare ben due squadre: una capitanata da Umberto Pavoni ha gestito l’area Vobarno-Degagna, l’altra guidata da Alessandro Bertelli si è occupata della zona compresa fra Vestone, il Savallese e le Pertiche.
Considerando che ogni squadra non può uscire sul territorio se non è composta da almeno 30 elementi, e che spesso si danno il cambio, si fa presto a calcolare quanti siano i cacciatori dediti a questa specialità: quasi cento.

Tante regole e pochi errori.
Appassionati seguaci di Diana che per meritarsi la qualifica di “cinghialaio” ha dovuto sostenere corsi ed esami per prepararsi a puntino a vivere un’esperienza tutt’altro che facile da gestire.
Difficoltà legate al tipo di preda cacciata, che non ti fa sconti se dovesse caricare anche se a sopportare tale eventualità sono soprattutto i cani, e di armamento: vengono utilizzate cartucce a palla unica e l’errore della fucilata al collega cacciatore nascosto dietro al boschetto causerebbe danni difficili da rimediare.

In arrivo la cella frigorifera.

 “Non mancano i rischi, ma nemmeno la soddisfazione” assicurano gli appasionati, in questa disciplina che prevede il gioco di squadra nel mettere in pratica strategie di caccia stabilite anche a tavolino, lunghi trasferimenti nei boschi, il ritrovo a fine giornata e padelle colme di cacciagione da condividere con gli amici e colleghi.
“L’idea adesso è quella di dotarci di una cella frigorifera nella quale convogliare gli animali abbattutti, anche per favorire i controlli da parte dell’Istituto zooprofilattico di Brescia con il quale abbiamo apposita convenzione – ci dice Ferraglio -. E’ un idea del nostro consigliere Eugenio Cargnoni e l’amministrazione comunale di Vestone ci ha già promesso un idoneo locale”.

C’è una “soglia agro-forestale” oltre la quale la presenza del cinghiale crea danni al territorio (per come la vedono gli umani, naturalmente): non andrebbe mai superata la densità di 5/6 capi ogni 100 ettari.
Se questo parametro viene rispettato nei piani di abbattimento, che vengono stilati in base ai censimenti, siamo di fronte ad una passione venatoria che ben si coniuga con la salvaguardia del territorio.
... e i nonni ringraziano.
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