«Quella non era una mattina qualsiasi»
Ospite in casa di Rosalinda, classe 1920, Nerino Mora si fa raccontare del bombardamento di Gavardo, da lei vissuto in prima persona. Un'esperienza terribile, una ferita che dopo pi di sessant'anni torna a sanguinare.

Ospite in casa di Rosalinda, classe 1920, Nerino Mora si fa raccontare del bombardamento di Gavardo, da lei vissuto in prima persona. Un'esperienza terribile, una ferita che dopo più di sessant'anni torna a sanguinare.

La chiamano tutti Linda, è seduta sulla sedia. La sua gamba fa i capricci ma la sua mente è cristallina.
Fra le mani i ferri da maglia, il gomitolo è nel cestino.
Racconta e lo scorrere delle parole viene ritmato dal tintinnio dei ferri da maglia che battono uno contro l’altro.

“Come ogni mattina mi recavo al pollaio per dare il grano alle galline e quella mattina erano appollaiate in modo insolito. Non schiamazzavano come sempre al mio arrivo. Strano, dico fra me e me.
Era Gennaio, una mattina fredda come una di quelle che stiamo vivendo ora. Torno in casa e inizio le mie solite faccende. Senza volerlo di solito spuntava una canzoncina o un’arietta di musica da chiesa. Quella mattina non mi sentivo e non capivo il perchè?
Il mio compito era quello di preparare il pranzo, al fuoco ribolliva il paiolo con la polenta, sul tavolo il vino piccolo. Era magra, era guerra.

In quei giorni si sentiva parlare del ritiro dei Tedeschi e i partigiani erano una realtà. Linda aveva il fidanzato fra di loro. Correva voce che lo sbarco era avvenuto e che forse la guerra sarebbe finita presto: il ritorno a casa di tante persone conosciute mi avrebbero fatta di nuovo felice, forse.
Poi quel rumore, tonfo, grezzo, rintuonante. I bicchieri tintinavano nella credenza…”

Mentre racconta Linda sferruzza con più vigore la maglia. Il ricordo la scuote ancora, le fa male dentro. Si agita, negli occhi c’è del rancore.

“Le sirene! C’è il coprifuoco, devo cercare un posto sicuro fuori casa, penso e corro.
Nel cielo due aerei volano bassi, poi riprendono a salire… uno scoppio… forte… fragoroso... lo spostamento d’aria. Dio che paura.
Sono le bombe che cadono su Gavardo laggiù, vicino ai ponti. Il pensiero va alle persone amiche che erano al paese. Ci sono il fumo e la polvere a far presagire il peggio…”.

A questo punto le mani di Linda si fermano, la maglia riposa sul tavolo, le dita si incrociano e Linda prega muovendo solo le labbra.
Poi va avanti col racconto.

“Il silenzio vene poi rotto da un nuovo aereo più piccolo. E’ la ricognizione, il controllo. Poi di nuovo silenzi e quel dubbio: ritorneranno?
Che fare? l’incertezza è forte. Bisogna agire, inforcare la bicicletta e andare giù, a Gavardo a dare aiuto, e ancora quel dubbio. Via. Via. Le pedalate sono lunghe, una falcata dietro l’altra fin che avevo fiato. Via veloce come il vento. Arrivo a Gavardo come un fulmine e vedo il disastro.

Case distrutte, macerie, gente che cerca i sopravvissuti e anch’io cerco con loro.
Erano in corso i Tridui in parrocchia la sala mensa era stata colpita: non ci voleva anche questa.
Il nostro parroco don Celestino non c’è più. Lo ritrovano, ma è morto. Così anche tanta altra gente che forse conoscevo e forse no. Come tanta la gente che dalla guerra non è più tornata, come mio fratello...”.

E’ una ferita profonda quella che si apre quando la Linda ricorda. Forse ho sbagliato ad intervistarla. Non volevo farle del male.
Così assaggio un solo goccio del vino versatomi nel bicchiere. Non perché non sia buono, anzi. E' che lo stomaco che mi si è bloccato, insieme all’intervista, che si ferma lì.
Mi auguro solo che le parole di Linda, riportate sul giornale, contribuiscano a creare un futuro senza questi brutti ricordi.

Nerino Mora
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