È morto Ermes Gatti, voce della Resistenza
È morto domenica pomeriggio nella sua casa di via Masaccio, all’età di 86 anni, Ermes Gatti, presidente delle Fiamme Verdi di Brescia. Alle manifestazioni valsabbine in memoria della Resistenza non mancava mai. I funerali martedì.

È morto domenica pomeriggio nella sua casa di via Masaccio, all’età di 86 anni, Ermes Gatti, presidente delle Fiamme Verdi di Brescia. «Protagonista e testimone» si era autodefinito nel titolo del libro-biografia pubblicato nel 2006, e protagonista e testimone della vita civile e democratica bresciana lo era stato davvero. Fu partigiano, amministratore pubblico ed instancabile voce viva della memoria della Resistenza.

Nativo di Milano, nel quartiere di Porta Genova, prima della Seconda guerra mondiale lavorò in un’azienda tessile. Fu soldato in Albania, poi in Sicilia contrasse la malaria, ragion per cui venne ricoverato all’ospedale militare di Arpino, nel Lazio. L’8 settembre del 1943 lo colse lì, deperito nel fisico ma assai determinato. Si firmò una licenza di convalescenza, raggiunse Roma ed alla stazione Termini, controllata dai tedeschi e piena di soldati italiani prigionieri, costretti a salire su un treno per la Germania, riuscì a salire su un vagone diretto a Milano.

Nascosto sotto un sedile, raggiunse il capoluogo lombardo devastato dai bombardamenti e ritrovò la famiglia. Subito maturò la decisione: non avrebbe risposto alla chiamata per l’esercito della Repubblica Sociale. Cominciarono i primi contatti con i movimenti della Resistenza ed insieme ad un cugino Gatti si unì ad un gruppo di bersaglieri sui monti di Gallarate, scioltosi dopo un’offensiva tedesca. I due ripararono sul lago Maggiore e poi in Svizzera, con l’aiuto dei contrabbandieri. Quindi l’avventuroso ritorno in Italia, attraverso la Valtellina, e l’approdo sul territorio bresciano, nel luglio del 1944.

Fu in Valcamonica, sul Mortirolo, che Gatti partecipò alla sua prima azione partigiana nel gruppo delle Fiamme Verdi. Da lì scese a valle per raggiungere la caserma della Guardia di Finanza di Grassotto, dove, insieme al cugino Ledi e ad altri cinque, prelevò armi e scorte alimentari. Seguirono altre azioni simili, consistenti nel disarmare i nemici e nel realizzare attentati a centrali e linee elettriche.
Poi, dal 10 al 29 aprile del ’45, la durissima battaglia del Mortirolo, 220 Fiamme Verdi contro duemila fascisti supportati dai mortai tedeschi. Dopo un ultimo scontro a fuoco con i tedeschi, Gatti con la sua Brigata Schivardi raggiunse Edolo, dove stabilì il comando.

Ai piedi aveva gli scarponi regalatigli mesi prima da una bella ragazza incontrata per strada. L’avrebbe reincontrata dopo pochi giorni e Gina Perlotti, coraggiosa partigiana, sarebbe diventata sua moglie nel novembre di quello stesso anno.
Dopo la guerra Ermes Gatti cominciò il suo impegno nella vita pubblica, tra incarichi amministrativi e testimonianza civile. Martedì pomeriggio nella chiesa parrocchiale delle Sante Capitanio e Gerosa, a San Polo, saranno celebrati i funerali.

ale. c. - dal Giornale di Brescia
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