Le risse dei giovani e la platea degli indifferenti
di Giuseppe Maiolo

I violenti fatti verificatisi alla fermata dell’autobus a Tormini richiedono una profonda riflessione. Una ce la offre il prof. Giuseppe Maiolo


Impressiona vedere un angolo di strada trasformato in una “plaza de toros” dove ci si accoltella. Inaccettabile la violenza delle risse che nascono per regolare conti o far vedere chi è più forte. Ma ormai accade e fa sempre notizia, anzi fa accorrere “fotografi in erba” e cronisti veri che hanno il dovere professionale di raccontare ciò che accade.

Così lo spettacolo della violenza, già normalmente quotidiana e sempre più massacrante, prosegue e si esalta, diventa occasione per comparire e mostrarsi anche solo di striscio o di spalle. Succede ovunque e Roè Volciano è solo un dettaglio, una localizzazione casuale del disagio che sta dietro a questi comportamenti.

Molte sono le letture possibili e alcune, consuete che sembrano mantra logori come quello del dar colpa ai social (che non sono innocenti ma nemmeno responsabili di tutto) e al loro uso eccessivo da parte dei giovani e degli adulti che li frequentano e li demonizzano, li negano e insieme li affermano.

Ci sta l’ambivalenza, perché segnala una delle tante incongruenze e contraddizioni di quella educazione distante o povera se non addirittura assente, che la fa da padrona oggi e risveglia gli adulti di riferimento dal sonno della ragione, quando il fuoco si è messo a bruciare intenso e mortifero. Non prima.

Nessuno invece parla dell’indifferenza che attraversa i ragazzi e nessuno ricorda che sono gli adulti, a diverso titolo ad insegnare loro quel non “immischiarsi” mai nelle storie degli altri e a insistere sul tormentone del “Tu, fatti gli affari tuoi!” che è diventato un imperativo educativo fatto di parole e di comportamenti quotidiani.

Così dovrebbero impressionare non solo i coltelli che brillano e la violenza dei “gladiatori” di turno che si esibiscono sul ring, ma ancora di più la “platea” e degli osservatori che sta attorno a guardare e a video-riprendere il match offensivo.

Perché quasi tutto ormai è diventato competizione e gara, tutto è spettacolo che serve per diventare virali e mostrare muscoli e potenza, violenza verbale e fisica. Guai a far vedere solidarietà, men che meno soccorrere la vittima. Meglio tacere e filmare e non mostrare fragilità che fa vergognare quegli adulti che non vogliono figli “molluschi”.

Gli adolescenti che accerchiano le lottatrici armate e sembrano duplicare il modello maschile offensivo, non se la inventano l’indifferenza. La maggioranza silenziosa è sempre esistita come pure quella dei curiosi che stanno a guardare un incidente stradale e nessuno chiama soccorso.
Possiamo dire che accade per paura? Certo, ma spesso è una giustificazione comoda, pari a quella delle vittime di bullismo che insieme ai bulli ti dicono che si tratta di un gioco divertente.

Dietro a quelli che vedono e non dicono, che sanno e tacciono c’è il peggiore dei mali: l’indifferenza. Che è un impermeabile con cui gli adulti ipocritamente si proteggono e si tengono a distanza dalle emozioni, lontani dal dolore dell’altro per timore di esserne travolti.
In parte è una reazione difensiva, ma solo in parte e, più di tutto è apatia, muro di gomma, complicità con la violenza e assenza di attenzione e di empatia. Ed è questo quello che insegniamo.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it
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