La riforma vista dagli insegnanti valsabbini
Il collegio dei docenti dell'Istituto Superiore di Valle Sabbia Perlasca, a grandissima maggioranza, si pronuncia in merito alle novitŕ scolastiche introdotte dall'attuale Governo.

Il collegio dei docenti dell'Istituto Superiore di Valle Sabbia "Perlasca", a grandissima maggioranza, si pronuncia in merito alle novitĂ  scolastiche introdotte dall'attuale Governo.

Al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Onorevole Maria Stella Gelmini
e p.c.
al Ministro dell’Economia e delle Finanze onorevole Giulio Tremonti
al Ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione onorevole Renato Brunetta
al Presidente del Consiglio dei Ministri onorevole Silvio Berlusconi
al Direttore, USR Lombardia Dott.ssa Anna Maria Dominici,
al Dirigente Scolastico Prov.le di Brescia Prof. Giuseppe Colosio
al Consiglio d’Istituto dell’I.I.S. “Perlasca”
agli organi di stampa

Il Collegio dei docenti dell’Istituto di Istruzione Superiore di Valle Sabbia “Perlasca” di Idro, provincia di Brescia, seriamente preoccupato, al di là delle mere ricadute occupazionali, del destino della scuola pubblica e con esso del destino dell’intero paese, sottopone alla sua attenzione, onorevole Ministro Gelmini, e all’attenzione dell’opinione pubblica queste osservazioni sui provvedimenti previsti dal governo. Tali osservazioni nascono da un’attenta lettura della Legge 133/08, della Legge 169/08 (ex Decreto Legge 137/08) e del Piano Programmatico del Ministero dell’Istruzione.

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Non condividiamo il metodo da Lei seguito, onorevole Ministro. Contrariamente a quanto affermato in principio del suo mandato, i provvedimenti previsti dal governo nei riguardi della scuola non sono il frutto di un confronto con i suoi rappresentanti. Si è piuttosto deciso di procedere per via di decreto, secondo una logica diametralmente opposta a quella dell’ascolto, della condivisione, della collaborazione, come molte organizzazioni e associazioni di categoria di diverso orientamento culturale e politico hanno rilevato in questi mesi. Non riusciamo a cogliere quali siano le ragioni di urgenza che abbiano motivato il ricorso alla decretazione, soprattutto quando si interviene su una materia così delicata e complessa. Gli inviti a riannodare il dialogo hanno trovato rigidezza e inspiegabili rifiuti da parte del governo. Imporre per decreto una “riforma” senza il coinvolgimento e la condivisione degli operatori della scuola ci sembra scorretto e controproducente.

· Lei, poco dopo il suo insediamentoaveva solennemente dichiarato che “la scuola non è assimilabile ad un qualunque capitolo di bilancio”.
L’operato del governo appare francamente dissonante con questo principio ispiratore. L’entità e le modalità della “razionalizzazione” prevista nella legge 133/08 e nel Piano Programmatico, oltre che le stesse motivazioni fornite, vanno nella direzione opposta: “economie di spesa” per 8 miliardi di euro in tre anni e una diminuzione del personale di oltre 130.000 unità nello stesso periodo, tutto sembrano fuorché una “razionalizzazione”.

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Risulta peraltro incomprensibile anche ad una mera logica ragionieristica ed efficientista come sia possibile rendere appunto più efficiente ed efficace un sistema, semplicemente riducendone le risorse. Se è vero, come Lei afferma, che il problema della scuola italiana è che “si spende male, non poco”, non si vede come la semplice riduzione della spesa possa migliorare il sistema. Se non si prevedono altre misure di riqualificazione volte a rendere più efficace l’insegnamento, l’unico risultato che si otterrà sarà quello di spendere di meno, ma pur sempre di spendere male. La soluzione che noi proponiamo è dunque di non ridurre la spesa per l’istruzione, ma di impiegarla in maniera più oculata. L’idea che meno scuola significhi una scuola migliore appare tutta da dimostrare, sempre che la logica non sia quella di una volontà di riduzione della presenza pubblica nell’istruzione, ci chiediamo a questo punto, a vantaggio di chi.

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Va inoltre affermato con fermezza che non ci convincono le argomentazioni per legittimare i tagli alla scuola. I numeri forniti sono fuorvianti. Il confronto con la situazione dei paesi OCSE1 rivela chiaramente che il nostro paese spende per l’istruzione meno della media OCSE in base al PIL e alcuni punti percentuali in meno rispetto a numerosi paesi europei. Anche il dato più volte sottolineato di un rapporto alunni/docenti nella scuola italiana inferiore rispetto alla media europea non è corretto; il dato vero, infatti dovrebbe tenere conto del fatto che nelle statistiche degli altri paesi europei non si considerano gli insegnanti di sostegno e di religione, i quali sono ascritti ad altre voci di bilancio. In molti paesi europei inoltre, una parte del personale non docente che svolge compiti di sorveglianza e assistenza agli studenti non figura fra i dipendenti del sistema dell’istruzione. I dati di cui sopra appaiono dunque usati in maniera scorretta e strumentale.

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Non riteniamo quindi giustificabile il pesante intervento su tutti gli ordini di scuola, e, per quanto ci riguarda direttamente, in particolare sulla scuola secondaria di secondo grado, sull’istruzione tecnica e professionale e sui corsi serali, con drastica riduzione di indirizzi, significativa riduzione delle ore di lezione (da 36 a 32), riduzione delle ore di laboratorio e delle compresenze, accorpamenti di classi di concorso. La riforma di cui l’istruzione superiore ha bisogno e l’eliminazione di sprechi e inefficienze non si ottiene certo con tagli indiscriminati di risorse e personale, che hanno il solo effetto di impoverire tutta la scuola, quella di qualità e quella inefficiente.

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Nel dettaglio, i provvedimenti da Lei immaginati per ottenere il dichiarato obiettivo della manovra, ottenere risparmi di spesa per lo Stato (art. 64 L. 133/08), appaiono del tutto inadeguati all’intendimento di ottenere una migliore qualità dell’insegnamento.
Abolire il “modulo” nella scuola primaria, aumentare il numero di alunni per classe, far insegnare materie a docenti formatisi per insegnarne altre, ridurre le ore curricolari in tutti gli ordini di scuola, ridefinire i criteri per la formulazione degli organici, ridimensionare la rete scolastica, appaiono tutti interventi di carattere trasversale che agiranno in maniera automatica secondo criteri quantitativi e non in maniera selettiva.

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Ci preoccupa inoltre il messaggio implicitamente trasmesso al paese circa il ruolo dell’istruzione: essa sembra essere un gravoso orpello che non ci possiamo più permettere, vista la congiuntura economica.
Tale impostazione, oltre a sminuire il valore dell’istituzione scolastica, che deve molta parte della sua efficacia proprio alla fiducia che il paese nutre nei suoi confronti, risulta perdente nel lungo periodo: tutte le indicazioni che vengono dal contesto internazionale, anche in questo momento di crisi, premono perché i paesi investano più risorse nell’istruzione come strumento chiave per affrontare i profondi cambiamenti a cui siamo chiamati. Come è possibile considerare l’istruzione un mezzo di emancipazione sociale e realizzazione personale delegittimandola agli occhi delle famiglie e degli studenti?
La stessa delegittimazione che proviene dai provvedimenti palesemente punitivi, discriminatori e lesivi dei diritti costituzionali di cittadini e lavoratori, adottati unilateralmente dal Ministro della funzione pubblica, aventi l’unico effetto di accreditare il luogo comune degli insegnanti “fannulloni”.

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Pur non operando nella scuola primaria, avvertiamo infine come nostalgica e semplicistica l’imposizione del “maestro unico”, non tenendo conto del principio dell’autonomia scolastica e del lungo earticolato percorso di riflessione e sperimentazione che ha portato nell’arco di oltre un ventennio alla definizione del modello didattico del “modulo”, non considerando le mutate condizioni sociali e culturali in cui questo maestro “tuttologo” dovrebbe operare, liquidando sbrigativamente e sprezzantemente il modulo come uno stratagemma occupazionale. Possibile che non susciti alcun dubbio in Lei, Ministro, il fatto che non una voce del panorama didattico e pedagogico italiano sia concorde sul ritorno al maestro unico? Possibile che Lei, Ministro, che dovrebbe avere il compito di valorizzare la scuola, non si renda conto di come, avvallando queste tesi, contribuisca ulteriormente a denigrarla, attribuendole responsabilità che sono di tutta la società?

La scuola italiana necessita di riforme.

Quello che ci viene prospettato appare piuttosto un’involuzione verso una scuola depotenziata, senza vigore, condannata ad una mera sopravvivenza, senza possibilità di incidere significativamente nel tessuto di esperienze e di relazioni delle nuove generazioni.

Perché la scuola istruisce certo, ma il suo istruire è funzionale all’educazione. E l’educare è prima di tutto accettare il rischio di farsi compagni di strada di chi sta crescendo. Ma per poterlo fare c’è bisogno di tempo e spazio, dei tempi lunghi dell’educare e degli spazi della libertà.
Pensare di risolvere il problema educativo con un voto di condotta, o di affrontarlo secondo logiche aziendali, oltre che miope rischia di essere esplosivo per il futuro del nostro paese.
Noi osiamo pensare che la stima e la premura verso la scuola come funzione alta dello Stato verso i suoi cittadini non sia un lusso o una moda del passato ma qualcosa su cui valga ancora la pena di investire.

Se Lei Ministro vorrĂ  instaurare un confronto con il mondo della scuola basato su questi presupposti troverĂ  sicuramente ascolto, disponibilitĂ  a mettersi in discussione e volontĂ  di costruire un sistema educativo migliore per tutti.
Rimaniamo a sua completa disposizione per eventuali approfondimenti ed anche eventuali cr itiche.

A larghissima maggioranza il Collegio dei Docenti dell’I.I.S. “Perlasca”.
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