I quesiti di un giovane annoiato
di Pseudosofos

Ci sono peccati che un tempo era possibile commettere. Ma il cuore dell’uomo resta capace di pentimento?


Un amico insegnante di Religione Cattolica mi ha raccontato questo episodio di vita scolastica.
Un suo studente, durante una lezione dedicata alla differenza esistente fra peccati veniali e peccati mortali, gli ha domandato: “Professore è peccato giocare a Candy Crush durante una Messa”?
“Sì”, ha risposto sorridendo il mio amico.

“Ma, secondo te si tratta di un peccato veniale o di un peccato mortale?”.
"Non lo so, professore, è lei l’esperto di peccati: me lo dica lei”, ha rilanciato l’allievo.

Così ha risposto l’insegnante.
“Ok. Facciamo il calcolo secondo i criteri che stavo esponendo a lezione. Un peccato è mortale se, anzitutto, l’azione che si sta compiendo è grave al cospetto di Dio.
Per grave si intende, per esempio, la violazione di uno dei 10 Comandamenti. In questo caso, si tratta di una violazione del terzo, cioè ricordati di santificare le feste. Che ne pensi?”.

Lo studente fa cenno di sì con la testa.

Dopodiché l’insegnante continua: “Il secondo criterio è la piena coscienza di ciò che si sta compiendo. Perciò: ti sembra di conoscere bene il valore della Messa? Hai coscienza di ciò che accade durante quel Sacramento?”.

“No, professore, nessuno me lo ha mai spiegato bene
. A Messa vedo un prete che predica parole che non mi interessano, che fa delle cose sull’altare; ma io mi annoio e basta. Vado a Messa solo perché i miei rompono se non ci vado”.

“Grazie della tua onestà.
Vedi, se tu non sai che cosa accade nella Messa, non è tutta responsabilità tua. Non lo puoi sapere se nessuno te lo insegna. Inoltre, come puoi tu credere a qualcosa che non conosci e non comprendi? Di conseguenza, la tua piena coscienza era difettosa, ma non solo per responsabilità tua, men che meno a 15 anni”.

Lo studente continua a rimanere in silenzio, ascoltando con attenzione.
“Terzo criterio per stabilire se ciò che hai compiuto è un peccato mortale: il voler compiere qualcosa di male contro Dio o contro il prossimo. Tuttavia, a questo hai già risposto dicendo che è per noia che giocavi, non per cattiveria d’animo. La noia non è un vizio capitale, ma un’emozione che si prova quando non si percepisce il senso e la bellezza di ciò che ci si trova a vivere.
Ora, ecco la mia conclusione: no, tu non hai commesso un peccato mortale. Sebbene l’azione da te compiuta è grave, non avevi piena coscienza, né deliberato consenso nel compierla”, ha concluso l’insegnante.

Di fronte a queste parole del mio amico, lo studente se ne esce con questa ulteriore richiesta: “Va bene. Ma come faccio a riparare a questo peccato veniale”?

“Facile. Basta recitare un Atto di Dolore e poi fare qualche buona azione per riparare alla tua piccola mancanza. Per esempio, potresti andare in Chiesa per tuo conto, quando non ti vede nessuno, e accendere una candela alla Madonna perché ti aiuti a fare più attenzione durante la Messa.
Mi raccomando però: fai l’elemosina nell’accendere la candela. Basta qualche monetina. E recita un Ave Maria. Che dici? Può andare secondo te?”.

“Guardi professore, va bene tutto. Ma i soldi proprio no. Non me li tocchi!
”.
Prima di scrivere queste parole mi sono immaginato spesso questa lezione.
Non credo ci sia da meravigliarsi del fatto che un quindicenne sia più interessato al denaro e a far passare la sua noia videogiocando piuttosto che alla sua spiritualità. Siamo stati adolescenti tutti, infondo.

Due sono piuttosto gli aspetti di questo racconto che mi provocano meraviglia.

Il primo: l’intelligenza e l’onestà dello studente, unita alla sua disponibilità a comprendere il significato delle azioni che compie.
Il secondo: l’ignoranza in cui è stato lasciato rispetto a quegli insegnamenti religiosi che possono aiutarlo a orientare la sua condotta. Insegnamenti che non hanno lo scopo di indottrinare chi li ascolta, ma, appunto, di fornire criteri per discernere ciò che è giusto o sbagliato compiere... quando uno si interroga.

Su questo il nostro mondo attuale mi pare proprio (a-)variato.
Al posto di insegnare a giudicare le azioni malvagie, condanna velocemente chi le compie. Anzi: condanna i modi di pensare più che i modi di agire. Al posto di offrire vie per eliminare gli errori della vita etica e spirituale, pensa che nessuno ne abbia bisogno: o perché si presume che noi uomini siamo santi, belli e buoni di diritto; o perché si immagina che Dio perdoni tutti di default, senza bisogno di vero pentimento.  

In questo panorama, molti preti stessi paiono intimoriti ad annunciare ciò che è di loro competenza.
Posso comprendere che un prete potrebbe trovarsi in un certo imbarazzo oggi ad insegnare “la dottrina” in cui crede. Viviamo in un mondo sospettoso verso le dottrine, soprattutto religiose.
Ciò nonostante, per insegnare, servono discipline, dottrine da comunicare.

Dov’è dunque l’entusiasmo, la delicatezza e la fermezza di parola tipica di chi annuncia una buona notizia per ogni uomo?
Dov’è il coraggio di chi annuncia ciò in cui crede, noncurante di quante persone lo ascoltano?
So che potrà sembrare strano, ma addirittura un pensatore non religioso come J. Habermas sostiene che la nostra società laica ha ancora bisogno delle riserve di senso che il Cristianesimo porta con sé ed annuncia.

Il cuore dell’uomo avrà sempre bisogno dei buoni insegnamenti che si originano dal Vangelo.
Non fa nulla che siano pochi ad annunciarli. Ma se nemmeno i preti più lo fanno, potremmo presto essere tutti rovinati, che si creda in Cristo, oppure no.

di Pseudosofos


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