Oltre lo scimpanzé
di Leretco

L’homo sapiens, che comunemente chiamiamo uomo, sembra abbia molto in comune con lo scimpanzé. Ma, quanta differenza ci sarebbe tra i due? Pochissima


È stato scientificamente osservato che lo scimpanzé è sensibile allo “status” sociale. All’interno dei gruppi in cui vive si stabiliscono gerarchie tali per cui gli individui dotati di uno “status” più elevato hanno diritto a cibo migliore, a luoghi dove dormire più comodi e sicuri nonché a privilegi sessuali.

Anche gli esseri umani sono interessati allo “status” sociale, e a tutti i privilegi che da esso derivano, e anzi per molti di loro è una vera e propria ossessione.
Belle auto, gioielli, belle donne o begli uomini, a seconda dei vari orientamenti, da mettere in mostra narcisisticamente più come trofei che come compagni di vita.

Per molti sembra essere fondamentale non solo conquistare ma anche mostrare il proprio “status” se superiore a quello degli altri.
Nei tempi moderni questa antica tendenza è stata enfatizzata dai “social” e sono nate nuove configurazioni e nuove dinamiche di “status”, governate da figure un tempo impensabili: gli “influencer”.

Non che non ce ne fossero in passato, si pensi all’eccentrico Gabriele D’Annunzio, maestro raffinato di stile e di parole, meno di vita. Tuttavia, oggi il numero di “influencer” si è moltiplicato a dismisura per effetto di internet, anche se la maggior parte di loro non si cura del bello, né della sua conoscenza, ma solo di mostrare gli strumenti, come il denaro, che ne permettono l’accesso.
È dunque necessario per costoro sfoggiare il lusso per suggerire connessioni con virtù, effettivamente inesistenti in loro, ma che credono di poter superficialmente indossare. Alla metafisica preferiscono il possesso, all’amore il sesso, all’arte il supporto materiale che la contiene, contribuendo all’abdicazione dell’essere rispetto all’agognato apparire.

Sembra che se si vogliono conquistare consensi sociali, si devono costruire storie e racconti basati sullo “status”, perché questo elemento attiva meccanismi automatici di empatia generalmente molto intensi e quindi economicamente interessanti.
Ci sono diversi esperimenti neuroscientifici che, prendendo in considerazione conflitti di “status”, dimostrano come “tifiamo” automaticamente per chi ne ha uno più basso.

È un automatismo su cui sceneggiatori e registi contano molto: l’eroe della storia compie un viaggio che non solo lo porta da un luogo mediocre ad un altro migliore, da una consapevolezza minimale o inesistente ad una comprensione superiore, ma anche da uno “status” basso ad uno elevato. La cameriera sposa l’uomo ricco e famoso, Harry Potter, bambino maltrattato, diventa il mago più potente, il povero diventa ricco, Cenerentola sposa il principe.
Il cambio di “status”, l’ascesa sociale, è un desiderio che anima nel profondo il cuore di tutti noi.

C’è un altro aspetto, tuttavia, che non va sottovalutato una volta conquistato lo “status” desiderato: quella raggiunta è una posizione dinamica, oscillante, precaria e quindi deve essere difesa, anche qui lo scimpanzé “docet”.
La posizione conquistata viene continuamente minacciata da quelli che occupano “status” inferiori, soprattutto perché i più deboli del gruppo sono empaticamente più attraenti e tendono a sfruttare questo vantaggio per insidiare il potere costituito. L’empatia genera aggregazione, accomuna chi si sente ingiustamente privato dello “status” che crede gli appartenga di diritto.

Si capisce benissimo dunque su quali meccanismi faccia leva la propaganda, su quali strutture di significato si basino il complottismo o i colpi di stato, su quali elementi narrativi sia possibile creare aggregazioni politiche, e opposizioni in genere, per conquistare il potere.
Sì, perché chi scaltramente è riuscito ad arrivare in alto, se vuole mantenere lo “status” acquisito ed è abbastanza intelligente, subito si dà da fare per premiare, imbonire e anche lusingare l’entourage che occupa uno “status” appena più basso, proprio per evitare congiure, tradimenti e aggregazioni segrete che vogliono quasi sempre detronizzare il vertice, anche usando la violenza.

Oltre alla leva dello “status”, esistono altri modi per ottenere il controllo da parte del potere sui sottoposti, modi maggiormente efficaci perché basati su difetti di fondo della cognizione umana, difetti provenienti dalla nostra origine animale, dal nostro essere così drammaticamente vicini allo scimpanzé.

Il primo di questi difetti cognitivi è chiamato “ritorno di fiamma” e consiste in ciò che avviene quando l’essere umano incontra informazioni che vanno contro le sue credenze preesistenti.
Quando le nostre convinzioni vengono contraddette da fatti o da racconti contrari, ci sentiamo minacciati e sviluppiamo emozioni negative, tanto più intense quanto più ciò che viene messo in discussione è cruciale per la nostra vita, per la nostra identità.

Tali emozioni negative diventano barriere per lo più insormontabili se l’incontro con quei racconti, con quelle nuove informazioni, risulta traumatizzante. Le emozioni di questo tipo generano un “ritorno” alle idee e ai meccanismi noti, anche se sbagliati, ma al tempo stesso determinano una bassa sensibilità a qualsiasi influenza correttiva.

Difficile quindi non farsi influenzare dalle teorie già interiorizzate e guardare alle nuove informazioni con occhi nuovi e mente aperta. Difficile perché essere aperti costringe ad un’attività cognitivamente più impegnativa che l’adagiarsi nel noto.

Eppure, varrebbe la pena cambiare atteggiamento, facendo il faticoso esercizio di leggere giornali, o ascoltare telegiornali, di orientamento opposto al nostro, per limitare al massimo il “ritorno di fiamma”.
Ci sono aspetti del mondo che, è sicuro, gli altri vedono meglio di noi, semplicemente perché non abbiamo il dono dell’onniscienza. Perché rinunciare a questo arricchimento? Certo bisogna avere onestà intellettuale, non dico verso gli altri, merce rarissima e ormai pressoché scomparsa, ma almeno con sé stessi.

Un altro difetto cognitivo molto utilizzato da tutte le propagande
del mondo è il “pregiudizio di conferma”, ossia quella distorsione per cui “le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite ovvero un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono”.

Questo pregiudizio è una forma più generale del “ritorno di fiamma” visto più sopra. Ahinoi, tutti ne soffriamo più o meno. Accade quando verifichiamo la validità di alcune ipotesi e non scegliamo tutte le prove rilevanti per tale verifica, ma solo quelle che confermano ciò che vorremmo emergesse.

Si capisce allora perché il complottismo ha così grande successo.
Sembra, infatti, da alcuni studi effettuati sull’argomento, che i più soggetti al “pregiudizio di conferma” siano persone con basso livello di autostima, che tendono a dare consenso maggiore a ciò che conferma le loro opinioni perché hanno paura di naufragare e annegare nel mare agitato delle idee contrarie.
La paura del mondo si conferma un elemento di potente aggregazione e di solito tutti i dittatori lo sanno.

Potremmo fare un elenco lunghissimo di casi che riguardano le conseguenze distorsive del “pregiudizio di conferma” o dell’effetto del “ritorno di fiamma” sugli individui e sulla società in cui viviamo.

Rimane un fatto: c’è un punto che accomuna ciascun elemento di questo elenco: nonostante centinaia di migliaia di anni di evoluzione, nonostante ci diciamo compiaciuti di essere stati fatti “a immagine e somiglianza di Dio”, in realtà non siamo andati molto oltre lo scimpanzé.

Leretico


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