Tollerare vuol dire costruire rispetto e gentilezza
di Giuseppe Maiolo

Tollerare è un verbo impegnativo che indica la capacità di contenere le reazioni avverse di alcuni alimenti che l’organismo non metabolizza e, per estensione, sopportare i pesi della vita, cioè resistere nelle situazioni difficili e gestire le emozioni spiacevoli, ma anche accettare le differenze altrui



Nelle interazioni personali a volte, la tolleranza viene confusa con la “neutralità” o con la non-interferenza nella vita degli altri che assomiglia molto all’indifferenza. Invece si tratta di cose diverse perché tollerare non è passività e vuoto di partecipazione affettiva ma accettazione dell’altro, disponibilità aperta alla sua comprensione, sforzo per contenere il pregiudizio, sempre in agguato.

In altre parole è tollerante chi usa modalità costruttive, sa ascoltare con partecipazione e osserva con attenzione e, pur con impegno e sforzo personale, è in grado di relazionarsi con rispetto e gentilezza, coopera e condivide anche quando le visioni personali non coincidono o le rappresentazioni della vita sono opposte alle proprie.

La tolleranza va ben oltre le specifiche appartenenze che, come sappiamo, possono riguardare la razza, la lingua, l’orientamento sessuale, le credenze religiose o altro ancora. È un’erba da seminare e coltivare prima di tutto a livello educativo e che riguarda i compiti di tutti, della famiglia, dei genitori, della scuola e della comunità educante.

In fondo essere tolleranti
vuol dire avere come dotazione di base la fiducia negli altri con cui è possibile mantenere un atteggiamento positivo nei confronti delle intenzioni e dei comportamenti altrui anche quando non appartengono al proprio modo di intendere la realtà.

Significa non essere prevenuti
e avere sicurezza e fiducia in sé stessi, quella che può provenire dal tipo di attaccamento e da quella base sicura che si sperimenta nella relazione affettiva dei primi anni di vita (G. Attili, Attaccamento e amore, Il mulino).

Molti studi hanno dimostrato
che i bambini tolleranti provengono da famiglie il cui stile educativo non è punitivo né repressivo, ma nemmeno permissivo.

È caratterizzato da una forte partecipazione affettiva e da una attenta presenza che rassicura, senza essere soffocante, e promuove il rispetto delle regole senza ricorrere a minacce e punizioni severe.

La tolleranza si “costruisce”
dando valore al limite e confini dell’agire, ma dove è assente la paura dell’altro e la diffidenza. Questi ultimi sentimenti, se fuori controllo invece, alimentano l’intolleranza e l’aggressività perché la sensazione di pericolo attiva la “proiezione” cioè un potente meccanismo di difesa che fa percepire l’altro come violento a cui attribuire le “proprie” intenzioni malevoli.

Educare alla tolleranza
durante la crescita, vuol dire dare spazio all’espressione delle emozioni e alla gestione dei sentimenti.

Si diventa tolleranti se fin da piccoli si respira un clima di attenzione alle idee e ai bisogni altrui e se ci sono attorno adulti capaci di aiutare a superare la dicotomia tra «buoni» e «cattivi» ma anche l’idea manichea che il bene stia solo da una parte e il male dall’altra.
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