La gentilezza, energia che fa star bene
di Giuseppe Maiolo

Si fa un gran parlare di gentilezza in questo periodo. In parte per moda, ma molto per necessità in un mondo di disattenzione e indifferenza e dominato da rapporti di arroganza e prepotenza.  C’è un grande bisogno di premura e di attenzione, di partecipazione affettiva da trasmettere non solo con azioni gentili ma con pensieri e parole 

 
Potremmo avere visioni diverse sulla gentilezza che è sentimento complesso, intenso e allo stesso tempo leggero, ma è di certo attenzione e cura nel senso di pre-occupazione per l’altro, ascolto e comunicazione partecipata. Non è buonismo, né cortesia formale o cordialità superficiale, ma capacità di occuparsi di chi sta di fronte o accanto, a partire dalla gestione di una comunicazione circolare e senza le barriere del pregiudizio e capace di potenziare il dialogo e la ricerca di soluzioni condivise anche in situazioni di contrasto.
 
Secondo le ricerche la gentilezza fa bene non solo agli altri ma anche a noi stessi perché migliora il benessere fisico e mentale, riduce la tensione e promuove una visione fiduciosa della realtà. Parecchi studi dimostrano che come atteggiamento mentale e comportamento, la gentilezza può contribuire a stimolare il rilascio di ormoni come la dopamina che regola l’umore, l’ossitocina che favorisce l’affettività e l’empatia, mentre riduce il cortisolo attivo nelle situazioni di stress.
 
Le osservazioni rilevano che è un impulso biologico fortemente connesso con i modelli di comportamento dell'ambiente. A partire dall’infanzia la gentilezza cresce e si sviluppa se prevale l’esempio degli adulti di riferimento, ma viene decisamente condizionata dai ritmi di vita nevrotici della società di oggi e inibita se prevalgono disattenzione e indifferenza.
 
Secondo lo psicoterapeuta Piero Ferrucci, la gentilezza è sostanzialmente energia positiva (“La forza della gentilezza” Mondadori), con cui  sosteniamo le relazioni interpersonali in un tempo caratterizzato da superficialità e scarsa autenticità.  Mark Twain sosteneva che è “una lingua che il sordo può sentire e il cieco può vedere”.  Di fatto sinonimo di disponibilità e gratitudine, può essere un importante indicatore di connessione umana e solidarietà con cui si può contrastare il narcisismo delle relazioni e la competitività esasperata. 
 
L’attenzione e la partecipazione affettiva, un tempo chiamata “filantropia”, caratterizza la gentilezza ed è autentico interesse per gli altri e reale capacità di condivisione. Dimensione questa che si apprende durante l’infanzia e che secondo lo psicoanalista e pediatra Donald Winnicott, da adulti può farci valutare il livello di salute mentale raggiunto. 
 
Di sicuro c’è ancora bisogno di approfondire le basi neuro fisiologiche della gentilezza, ma già sappiamo che dovrebbe essere una disciplina educativa da promuovere in corsi di formazione per gli adulti perché sappiano praticarla in famiglia e a scuola. Di sicuro va trasmessa precocemente soprattutto con l’esempio a partire da alcune parole fondamentali e di uso quotidiano come “Grazie”, “Disturbo?”, “Mi spiace”, “Posso dire?” “Scusa”.
 

Giuseppe Maiolo
 psicoanalista
Università di Trento
www.iovivobene.it
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