Ridare accorato affetto
di Pseudosofos

“Giornata della memoria”: ti sei mai chiesto che cosa possa significare “far memoria” di qualcosa? Forse conviene pensarci un attimo al termine di questa giornata


Mi rivolgo subito a te che leggi: concentrati! Leggi!
Leggi facendo attenzione a quanto leggi!
Cerca di riconoscere bene quanto qui stai leggendo!

In realtà, se ci pensi
, non ha alcun senso che io ti ordini di fare attenzione a queste mie parole. Tu che le stai leggendo, le riconosci già: tutto nella tua lettura accade in automatico.
Non serve che io ti comandi di riconoscerle, queste mie parole. Verso di esse hai già un naturale atteggiamento di riconoscenza, cioè di attenzione.

La memoria è anzitutto automatica riconoscenza: una spontanea forma di gratitudine verso ciò che abbiamo conosciuto in passato.
Talmente spontanea e gratuita che, quando leggiamo, normalmente non vi poniamo, per assurdo, attenzione.
Grazie alla comune memoria del senso delle parole che io sto scrivendo, io e te ci stiamo ora intendendo. “Intendere”: “tender-dentro”, cioè dirigersi verso qualcosa che attira la nostra attenzione.
Questo legame dell’attenzione con la memoria non ti incuriosisce? Sono certo di sì, quindi continuo.

L’intelligenza che io e te condividiamo ora è questa capacità dell’anima umana: quella di “intus-legere”, di “legger-dentro” a ciò verso cui la mente tende con attenzione perché ne è attratta. In effetti, noi ci dirigiamo spontaneamente e gratuitamente, cioè senza obblighi o comandi, solo verso ciò che ci attrae.
La memoria è una forma di riconoscenza verso qualcosa che abbiamo conosciuto come attraente.

Quando ciò accade?
Ovvero, quando qualcosa appare come attraente?
Ci sono due possibilità.
La prima: è attraente ciò che ci affascina ed esercita sulla nostra intelligenza una sorta di seduzione.
La seconda: ci attrae ciò che ci sconvolge tremendamente, provocando nel nostro animo sconcerto, paura, terrore.
La bellezza attrae nel primo modo. La catastrofe nel secondo.

Bene, supponendo che ora tu sia ben concentrato ed attento, ti suggerisco un altro pensiero. Si fa memoria, cioè si riconosce, quello che prima si è conosciuto. Non basta che qualcosa sia accaduto: quante cose accadono che non diventano conosciute. Pensa a tutte le lezioni scolastiche che hai vissuto. Di quante ti ricordi? Appunto: per ricordare serve conoscere nell’accadere.
Ebbene, la conoscenza di qualcosa avviene solo quando comprendiamo ciò che accade.

“Comprendere” significa “prendere-insieme”, cioè “abbracciare”.
Ciò che accade è compreso quando lo abbracciamo con la mente. Serve metterci il cuore, per dir così. Vedi: l’intelligenza potrebbe forse abbracciare ciò che non la attrae? No, ovviamente! Una piccola parentesi. (Facciamo finta, caro lettore, che tu sia un insegnante: rendi attraente ciò che vuoi sia conosciuto e, quindi, ricordato!). Fine della parentesi.

Perciò, se ora io e te ci intendiamo attraverso queste mie parole è perché, in un qualche modo, abbiamo messo almeno un po’ di cuore nell’impararle nel passato.
Adesso le ricordiamo, o meglio ne ricordiamo il senso, perché le abbiamo rese degne del nostro affetto attraverso l’impegno e l’attenzione nell’impararle. Esse ci hanno attratto e noi siamo stati disponibili ad entrare dentro di esse con dedizione.

Mi raccomando, però, ora non perderti perché arriva il terzo e ultimo passaggio.
Ti ho scritto che la memoria è un atto di spontaneo riconoscimento di ciò che abbiamo circondato di attenzione e affetto, cioè ciò in cui abbiamo messo un po’ del nostro cuore, perché ne siamo stati attratti. Ebbene, se è così che le cose stanno, allora l’atto della memoria dovrà essere necessariamente un “ri-cor-dare", cioè un “ri-dare-il-cuore" a qualcosa a cui lo si è già dato.
E siccome nessuno può dare il suo cuore sotto imposizione e comando, la memoria non può essere imposta. Appunto, è libera da costrizione, come ti accennavo all’inizio.

Tutto torna, vedi! Meravigliose parole: scrigni di tesori spirituali.
Perciò, se anche tu, come me, sei fra coloro che si sono domandati oggi qual è il senso del “fare memoria”, ecco qui la risposta che sanno dare alcune parole, quelle a cui normalmente non prestiamo sufficiente attenzione, perché immaginiamo, stupidamente, di usarle e basta, senza circondarle dell’affetto e dell’attenzione che esse si meritano.
Come ha scritto Samuel Jhonson, in sintesi: “La vera arte della memoria è l’arte del porre attenzione”.

La “Giornata della memoria”
ci invita a fare attenzione al “fare attenzione”.
Perché, purtroppo, la storia ci ha mostrato che cosa orribilmente accade quando non si abbracciano le persone e non si è riconoscenti della loro presenza. Ed è ovvio, mi pare, che le persone valgono più delle parole di cui si ricordano e con cui cercano di intendersi.

Non credi?
Alla prossima.

230519Filosoficheria.jpg