21 Gennaio 2022, 16.20
Valsabbia
Eco del Perlasca

Bullismo, la risposta dell'ITIS

di FIlippo Vanzani

Perchè parlarne proprio ora? Non si fa già abbastanza? E’ ancora un problema? Come si può risolvere?


E’ vero, è da un po’ che non si sente parlare di bullismo, tanto che per alcuni potrebbe sembrare un argomento anacronistico.
Invece il bullismo permane ancora, nascosto sotto una patina di “problemi più gravi”.
Di fatto ne parliamo perché il problema è concreto, si è presentato nelle nostre classi prime ma è presente in tutta Italia.
ati alla mano, più della metà degli studenti italiani ha subito atti di bullismo e il 63% ne è stato testimone.

Ma cosa intendiamo per bullismo?
Intendiamo un comportamento aggressivo e ingiustificato prolungato nel tempo. Può essere di varie tipologie in base all’atto perpetrato ma è pericoloso in tutte le sue forme.

Perché? Perché causa disuguaglianza e squilibri di potere andando a delineare tre figure: il bullo, che non mostrando empatia prova piacere nell’umiliare altri, la vittima, aggredita, isolata e sottomessa, e lo spettatore, che ha un ruolo fondamentale. Infatti lo spettatore ha un comportamento decisivo rispetto alla possibilità di favorire o inibire il fenomeno, ricordando che anche mostrando indifferenza si sostiene il bullo.

Meno grave non è il fenomeno del cyberbullismo che comprende: diffamazione, insulti, esclusione da gruppi social, pubblicazione di materiale senza il consenso del proprietario…
In quest’ultimo caso il problema è prevenibile con l’accortezza di non inviare o postare materiale indesiderato o privato.

Con gli incontri svolti nelle scorse settimane il nostro Istituto ha fatto il primo passo per sensibilizzare gli studenti riguardo all’argomento.
Interessante è la storia di Valerio Catoia, un ragazzo con la passione del nuoto che ha salvato una bambina che rischiava di affogare.
Condividendo la storia sui social, Valerio e il padre hanno ricevuto insulti e denigrazioni da alcuni utenti. Questo accanimento però non ha neppure sfiorato Valerio e i genitori si sono rivolti alla polizia postale, che ha denunciato due principali individui.

Un caso più vicino a noi è quello di Nunic Velibor, che durante i vari incontri ha raccontato la sua esperienza.
L’episodio, avvenuto quando frequentava la terza media, è vivido nella sua mente ancora oggi.

Iniziò tutto quando un compagno gli chiese di diventare suo amico. Dopo mesi di assidua frequentazione, Velibor scoprì che l’amico aveva divulgato tutto ciò che si erano detti; ciò ruppe la fiducia che si era creata e, a seguito di un tentativo di riconciliazione, lo stesso “amico” lo aveva calunniato, spargendo menzogne su di lui e coinvolgendo tutta la classe.

Trovandosi solo e senza l’aiuto dei genitori, che sminuendo il problema non gli facevano sentire il loro amore, Velibor iniziò a pensare al suicidio.
La voglia di farla finita lo fece arrivare a pensare di non meritarsi di stare al mondo. Ciò lo portò a menzionare spesso il suicidio a scuola, tanto che gli insegnanti iniziarono a pensare di organizzargli un incontro con lo psicologo.

Velibor ammette:Non è facile ignorare gli insulti: mi servirono mesi per capire come comportarmi riguardo alla mia situazione; arrivato alle superiori dovevo ancora capire come agire”.
Incoraggia le vittime a rivolgersi alle persone di dovere come insegnanti, collaboratori scolastici ecc… Sottolinea inoltre l’importanza di aiutare la vittima con piccoli gesti.

Nonostante la vergogna, Velibor è riuscito a superare tutto questo grazie alle sedute con lo psicologo e alla sua forza di volontà che gli ha permesso di non dar troppo peso agli insulti.

Emerge quindi il ruolo fondamentale della scuola in questo processo che, come dice la professoressa Nunzia Auriemma, deve proporre “incontri più frequenti e rivolti ai piccoli gruppi in modo che le cose dette siano quanto più possibile personalizzate, per venire incontro al bisogno degli studenti, più piccolo è il gruppo più concreto è l’aiuto”.

Aggiunge: “Questo processo viene esteso anche ad altre classi in un'ottica di prevenzione per parlare ai ragazzi non solo di quale sia la filosofia dell’Istituto, ma anche per poter portare all’attenzione le risorse presenti e per poter attivare una responsabilità da parte di tutti nella denuncia di questi fenomeni”.
“Nonostante l'indifferenza non ci possiamo fermare”.

L’obiettivo è quello di “creare un tessuto quanto più possibile sensibile a certi temi”.

Per quanto riguarda il cyberbullismo la docente sostiene che una delle variabili sia dovuta alla “mancanza di responsabilità” che avviene quando “non c’è il contatto diretto con l’altro”.
E ciò porta a diventare “meno umani”.

Ricorda inoltre che “non fermarsi quando si fa del male è segno di forte disagio e debolezza”.
“Il bullo, quanto la vittima, ha bisogno d’aiuto. Dobbiamo mettere dei limiti e dei confini. Dobbiamo cercare di dialogare”.

Interessante iniziativa è quella della “cassetta del sorriso”.
La professoressa Luana Girardi spiega: “La cassetta del sorriso vuole dare una continuità a quello che è stato il progetto contro il bullismo.
E’ stata pensata da tutti quei ragazzi che sono in difficoltà ad esporsi ed esprimersi in prima persona.
Può essere utilizzata in forma anonima da tutti coloro che vogliono segnalare un atto di bullismo come vittime o spettatori
”.

Il nome deriva dal fatto che “il contributo di ognuno può riportare il sorriso sulla bocca di qualcuno che non ha più voglia di sorridere”.

La cassetta può essere inoltre utilizzata per dare consigli su “cosa poter fare per creare all’interno dell’istituto un clima il più possibile sereno e motivante” e per “evidenziare quello che di bello già c’è”.

E’ un impegno concreto
quello che la scuola sta portando avanti, ricordandoci che “la vita può cambiare solo se riduciamo la distanza tra quello che diciamo e quello che facciamo”.

Filippo Vanzani





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