I pazzi, quelli veri
di FIlippo Vanzani

Dove sono finiti i pazzi, i cosiddetti malati di mente? Sono ancora una realtà distante e remota? O invece ci siamo quasi abituati a loro?


Potrebbe essere strano parlare di pazzia nel 2021 visti i grandi progressi scientifici, medici e sociali perseguiti.
I metodi utilizzati nei manicomi sono ormai un ricordo lontano. Siamo molto più aperti verso il “diverso” di quanto non lo fossimo mezzo secolo fa. Quindi dove sono finiti i pazzi? Si sono estinti?

Prima di tutto cerchiamo di dare una definizione al termine pazzia, giusto per sapere di cosa stiamo parlando.
La pazzia è un comportamento mancante di raziocinio, che si discosta dalla comunemente chiamata normalità; e nella storia ciò che non si considerava normale è sempre stato allontanato, emarginato o considerato troppo distante da sé. In molte civiltà arcaiche la pazzia veniva considerata un morbo sacro, una malattia (o dono) che permetteva di mettersi in contatto con gli dèi.

Con il progresso della scienza l’uomo ha cercato di dare svariate spiegazioni a questi irrazionali comportamenti: Ippocrate sosteneva che la pazzia fosse dovuta all’intrusione nel cervello di una certa “bile gialla proveniente dal fegato”.

Numerosi rimedi, se così possiamo chiamarli, furono pensati per guarire i folli: uso di oppiacei, salassi, purghe e così via.
Con l’avvento del cristianesimo la pazzia divenne sinonimo di possessione demoniaca e la si cercava di estirpare con esorcismi e acqua santa.
Nell'800 iniziarono ad essere costruiti i primi manicomi e si applicarono nuove “cure” come la lobotomia, l’elettroshock e gli psicofarmaci.

Solo nel 1978, con la legge Basaglia (legge che aboliva i manicomi come istituti di cura per i malati psichiatrici), si iniziò a pensare al malato non come a un reietto da nascondere, ma come a un paziente da curare mediante l’integrazione di quest’ultimo nella società.
E proprio qua avvenne la rivoluzione nel modo di percepire il malato mentale, percepirlo come una realtà non aliena alla nostra ma che può perfettamente coesistere.

Si può dire quindi che oggigiorno il pazzo faccia parte della comune società? Si.
Molte persone si prendono attivamente e personalmente cura di parenti o amici “folli” facendo vivere loro una vita normale da persone normali.

È infatti questo il punto cruciale: la normalità.
Il miglior modo per trattare un pazzo è trattarlo come una persona normale. È in sostanza uno scendere a compromessi, accettare un’altra normalità con il fine di restare con la persona amata.

Il trucco è mostrare amore e, anche se può essere difficile nella nostra materialista ed egocentrica società, un pizzico di empatia.
Non fermiamoci a provare compassione o pena, cerchiamo di salire quel gradino in più per vedere le cose in modo diverso.

Ciò non significa per forza lanciarsi in atti di magnanimità o inusuale generosità, cominciamo con una chiacchierata.
Basta poco per fare tanto.
                                                                                                                                         
Filippo Vanzani


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