Quando il problema non è la censura
di Elena Tonolini

I problemi connessi alla libertà di stampa sono certamente cambiati nel corso della storia, ma la situazione cambia anche tra le varie aree del mondo


Ancora oggi, soprattutto nell’est Europa e in Asia, si parla di censura, mentre nei Paesi più “occidentali”, in un chiaro ed ennesimo contrasto degno dei due poli opposti della stessa calamita, è presente la questione contraria: la sovrabbondanza di informazioni.

Qualcuno potrebbe benissimo pensare che
l’avere così tanti dati, con l’unico effetto collaterale delle fake news, non sia affatto un problema, paragonato alla censura che ancora persiste in svariati Paesi, ma secondo me non è così.
La sovrabbondanza di informazioni è un qualcosa che è comparso con l’arrivo di internet, quindi è una tematica molto più “nuova” rispetto alla censura, ormai riconosciuta da praticamente tutti come una violazione dei diritti umani, ma nonostante siano due concetti apparentemente “opposti”, in realtà hanno molto in comune.

La diffusione delle fake news, infatti, non è l’unica conseguenza della sovrabbondanza di notizie: in particolare negli ultimi anni si è potuto notare come, proprio a causa di questo surplus, in molti Stati l’informazione stia diventando (se non è già diventata) un business, e in quanto tale deve rispettare la vertiginosa velocità del mercato odierno.

Ciò porta inevitabilmente all’anteporre la tempestività con cui le notizie vengono pubblicate alla loro veridicità, motivo per cui spesso non ci troviamo davanti a fake news, bensì ad informazioni inesatte, ingigantite o incomplete, a volte talmente brevi che, per raggiungere i caratteri minimi per un articolo di giornale, l’autore si inerpica in giri di parole talmente astrusi da far perdere persino quel significato striminzito che si voleva trasmettere.

Ma non è ancora finita: se l’informazione è davvero un business, allora essa deve rispettare la legge della domanda e dell’offerta, seguendo dunque la “moda” al fine di produrre e quindi guadagnare maggiormente (un utente non avrà mai il tempo di leggere tutte le notizie, quindi occorre “accaparrarsi” l’attenzione del lettore e spesso i titoli più sensazionalistici sono sì più interessanti, ma in genere preannunciano anche informazioni contorte, ingannevoli o addirittura false).
Non c’è dunque da stupirsi se mentre l’Australia bruciava l’anno scorso o mentre lo faceva la Sardegna quest’anno le grandi testate giornalistiche parlavano dei vestiti di Chiara Ferragni e dei probabili assetti delle varie Nazionali agli Europei.

Nonostante tutto, una nota positiva ci viene data da film e opere letterarie: in “The Post”, di Steven Spielberg, i dipendenti e i direttori del Post e del New York Times rischiano la carriera e la libertà pur di lottare contro la censura, mentre Antonio Tabucchi, nel suo libro “Sostiene Pereira”, racconta del riscatto di un protagonista mediocre che però pian piano si rianima, infervorato dal desiderio di denunciare le atrocità del regime sotto il quale era oppresso il suo Stato (e che aveva fatto uccidere il suo compagno Monteiro Rossi), ma non è l’unico; Bulgakov stesso è stato censurato e se si esegue una breve ricerca si scopriranno nomi di altri famosi eroi che hanno denunciato questo tipo di proibizione e di violazione verso i diritti fondamentali.

Queste persone hanno combattuto per farci ottenere la serenità e i mezzi tramite i quali esercitare i nostri diritti, che non devono mai e poi mai divenire l’ennesimo ingranaggio della macchina economica che puntualmente alimenta il restringimento di essi tramite la disuguaglianza (bello avere dei diritti, ma bisogna anche avere i mezzi necessari per farli valere): diffondere deliberatamente fake news e trattare l’informazione come una mera impresa economica equivale allo sputare in faccia a tutti coloro che hanno lottato per noi, allo stesso identico modo di chi, nel proprio delirio di onnipotenza, tramite vie più o meno dirette osa proferire “tu questo non lo puoi dire”.

Elena Tonolini Vobarno

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