La vita dopo la terapia intensiva
di red.

Cosa succede a chi ha vissuto in ospedale la terapia intensiva e poi viene dimesso? Se lo sono chiesti i ragazzi delle Terze F e G delle Medie di Roè


Martedì 25 maggio, gli alunni delle classi 3°F e 3° G della scuola media F. Odorici di Roè, durante l’ora di Educazione Civica, hanno partecipato ad un secondo e prezioso incontro: intervistata a “distanza”, è stata infatti questa volta l’infermiera Mariapaola Novelli, che opera presso l’Ospedale Civile per il progetto Follow-up, di cui è referente la dott.ssa Elena Peli, medico anestesista rianimatore.

Ma di cosa si tratta, esattamente?
Il Centro di ricerca universitario si occupa di studiare l'outcome a lungo termine nei pazienti che sopravvivono a malattie critiche.
Esso infatti nasce dal progetto “La vita dopo la terapia intensiva”, nato dalla collaborazione tra la Fondazione Alessandra Bono e l'Asst Spedali Civili di Brescia: un programma di follow-up clinico la cui missione è di accogliere e supportare il bisogno di cura dei pazienti sopravvissuti alla terapia intensiva.

Il protocollo del progetto prevede che i pazienti siano seguiti già a partire dai 3 mesi dalla dimissione e per un periodo della durata fino a 5 anni. I dati dei pazienti, raccolti in un database dedicato, saranno utili sia per l’informatizzazione a scopi clinici sia per studi di ricerca.

“I pazienti dimessi sono soggetti a disabilità residue e complicanze, come la perdita di massa e forza muscolare, complicanze neuro-psicologiche, dolore ed altre condizioni patologiche che possono persistere per mesi, anni e forse indefinitamente dopo la dimissione dall’Ospedale.
Per questa ragione è importante identificare i soggetti a rischio e predisporre tutte le misure idonee a ridurre rischi e complicanze gravi e a lungo termine”.
Così spiega il prof. Nicola Latronico ordinario di Anestesiologia dell’Università degli Studi di Brescia, responsabile del centro e primario del Secondo centro di rianimazione.

Ed è proprio grazie alla disponibilità del professor Latronico che è stato possibile organizzare l’intervista a distanza.
I ragazzi hanno posto alla sig.ra Mariapaola numerose domande, soddisfacendo curiosità e interessandosi in particolare all’attualissimo tema del Covid, visto che l’argomento è al centro di alcuni degli elaborati da presentare agli imminenti esami.

L’infermiera ha peraltro coinvolto gli alunni in un viaggio virtuale all’interno del servizio, presentando le persone coinvolte -tra cui Claudia, la collega e Irene, la nutrizionista- e mostrando apparecchi utilizzati. T
ra questi, i ragazzi sono stati attirati in modo particolare dal dinamometro, strumento che serve a valutare la forza degli arti superiori. E poi, ancora, tante sono state le domande a proposito del six minutes walk test, (6MWT), un test che permette una misura della capacità funzionale residua di un paziente e viene generalmente consigliato a scopo diagnostico.

Ecco alcuni degli spunti emersi:


“La gratitudine che dimostrano i pazienti è impagabile…. Ci vuole tanta empatia, perché hanno una particolare sensibilità” (Francesco)

“Questo servizio è una realtà unica a Brescia e qui vengono persone da tutta Italia” (Daniele)

“Alcune persone, dopo il coma, dimenticano l’incidente o la malattia. Altri addirittura non ricordano più nulla” (Syndy)

“…durante la videoconferenza, Mariapaola ci ha mostrato la macchina per l’elettromiografia, esame che può durare da un’ora a due e che serve per vedere se i muscoli funzionano ancora…
La cosa che mi è piaciuta di più di questo incontro è quando ci ha raccontato di un ragazzo che aveva avuto un’emorragia cerebrale che però ora ha ricominciato a parlare e a camminare”(Mia)

“…durante il coma, viene compilato un diario narrativo delle giornate dei pazienti, così che rimanga scritto, sia per loro che per i famigliari” (Ester)

“…mi sento molto grata alle persone che lavorano in questo reparto, perché cercano di migliorare la vita delle persone, aiutandole e incoraggiandole” (Elisa M.)

“Appena dopo il risveglio, c’è uno dei momenti più complicati perché il paziente cerca subito la famiglia e, trovandosi in un ambiente estraneo con intorno persone di cui non vede il volto, spesso si fa prendere dal panico. Anche la solitudine è il rischio.” (Alessandro)

“Questo lavoro è molto stressante, ma appagato dall’immensa gratitudine dei pazienti” (Sabrina)

“Io penso che questo lavoro riempia il cuore di dottori, infermieri e persone in genere…perché dona una nuova vita” (Elisa P.).

Altri ragazzi hanno invece dato forma alle loro riflessioni attraverso cartelloni, di cui riportiamo le foto, una delle quali presenta la frase dipinta sui muri del centro..

Parole sentite con sincerità da tutti gli alunni. Immagini che concretizzano il loro sentire.
Un’esperienza che rimarrà impressa nelle loro menti.

E da ripetere negli anni a venire.

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