La zia Cìa e i ricordi del nipote Paolo
di John Comini

Un mese fa ha concluso la sua esistenza terrena la signora Lucia Massolini vedova Bosio. Grazie ai ricordi del nipote Paolo Catterina, che la chiama “zia Cìa”, posso tratteggiare un piccolo omaggio ad una bella persona ed alla sua grande famiglia.


La zia Cìa, all’anagrafe Lucia Massolini, era nata a Gavardo ed aveva sposato il signor Danilo Bosio. In realtà il marito non si chiamava Danilo: all’anagrafe gli era stato conferito un nome inconsueto, Raguele, nome con cui nessuno lo aveva mai chiamato, se non forse sotto le armi.

La coppia ha avuto la benedizione di 9 figli, 7 maschi e due femmine, tutti caratterizzati dalla simpatia propria della stirpe dei Bosio. La nonna Angelina di figli ne aveva avuti 13 (e ne aveva tenuti a balia un altro paio).

Danilo lavorava come contadino e per alcuni anni, con la zia Cìa, abitarono a Prevalle, per poi trasferirsi a Brescia, in una grande e antica cascina, oggi conosciuta da molti perché adibita a centro di iniziative culturali: la cascina Maggia. Danilo ha sempre lavorato per un numero impressionante di ore occupandosi di un altrettanto impressionante numero di capi di bestiame. Pure la zia Cìa ha sempre lavorato per un monte ore non certo inferiore: ti credo, con 9 figli! Danilo e Lucia erano come due generali, che comandavano con affetto una truppa esuberante e sempre allegra.

L’amico Paolo Catterina mi racconta che quando aveva cinque o sei anni gli capitava di andare a far visita agli zii. E più di una volta gli capitò, trovandosi con tutti quei cugini che scorrazzavano in tutti gli angoli di quel grande cascinale, di mettersi a fare i capricci per poter passare un paio di giorni di “vacanza” dagli zii.

Ma per gli zii, un bambino in più o in meno non faceva differenza, quindi il piccolo Paolo veniva subito accontentato a braccia aperte. La zia Cìa, sbrigativa, diceva al papà di Paolo: “Làsel ché èl Furmintì”. Lo chiamava così, con quel simpatico vezzeggiativo, Furmintì.

Erano un paio di giorni di avventure fantastiche, nei luoghi reconditi di quel grande fabbricato a corte lombarda, con un cortile enorme e tante, infinite stanze e depositi, fienili, stalle, da esplorare. Un mondo meraviglioso per un bambino, con tutti quei cugini con cui condividere giochi, avventure, fantasia…

Uno dei luoghi più ricercati per giocare era senza dubbio la “buca della grassa”, sì proprio quella grande buca di cemento dove ristagnavano letame e liquami. Non di rado qualcuno scendeva a recuperare palloni o vi finiva dentro giocando. Chissà le risate… e la puzza del malcapitato. E qui dovrei censurare alcuni ricordi di Paolo, ma sono troppo divertenti, allora li trascrivo. Paolo a quell’età era affetto da un problema che i medici avrebbero definito “enuresi notturna” ma che per tutti in famiglia era un poco onorevole “el pìssa en dèl lèt”. E quindi la zia Cìa, nell’ospitarlo a dormire, doveva anche armare il letto di teli e “stramàs” impermeabili. Paolo precisa che, ad onor del vero, sin da piccolo si era organizzato cercando di fare tutto il possibile per superare il problema. Come? Seguendo un antico proverbio dialettale bresciano: “Prima, fàt ön bù nòm, po’ pìssa en del lèt: i disarà che ta ghét südàt…” (e qui mi scappa…una risata!)

Il tempo passò e il signor Danilo andò a lavorare presso le Fonderie Mora e con la zia Cìa si trasferì a Soseto di Sopraponte. Oggi quella mitica cascina ha lasciato il posto ad alcune casette degli anni ’80, sulla strada per arrivare alla rotonda di Acquatica. Ma anche la loro nuova casa di Soseto è sempre stata un porto di mare per questa grande e bella famiglia.

La zia Cìa e Danilo hanno condiviso una vita fatta di piccoli e grandi avvenimenti, di ricordi dolcissimi e tristi, di gioie e di dolori, di festa e di duro lavoro, immerso nel verde della campagna. I fili delle loro esistenze si sono svolti tra la campagna e il paese, in una grande famiglia nata e vissuta in semplicità. La loro sembra una storia lontana, d’altri tempi,  eppure è ancora presente nella storia di ognuno di noi. Perché la zia Cìa e Danilo come tanti hanno vissuto le privazioni, la guerra, ma hanno trasmesso a figli e nipoti i valori, le radici, la forza purissima dei sentimenti, gli ideali dell’onestà e del rispetto, la fede in Dio e nel creato, l’amore per le piccole gioie quotidiane, la speranza per un futuro migliore.

Alla cara zia Cìa hanno dato l’estremo saluto i figli Ugo, Romano, Renata, Giordano, Dario, Artemio, Mariano, Bruno, Anna, generi, nuore, nipoti, pronipoti, fratelli, sorelle, cognate, cognati, parenti e tutti quelli che le hanno voluto bene. E sono tantissimi. Il funerale si è celebrato presso la parrocchia di San Lorenzo a Sopraponte e le ceneri della zia Cìa sono state benedette e deposte a fianco dell’amato sposo, nel cimitero di Prevalle San Zenone.

Il nipote Paolo scrive: “Il ricordo della zia Cìa e dello zio Danilo sono e saranno sempre per me quelli di persone che fanno amare la vita, per il coraggio e per la determinazione che, quando si uniscono all’allegria, fanno germogliare nove figli e una moltitudine di nipoti.”

Concludo con alcune notizie che l’amico Paolo mi ha scritto sulle famiglie Bosio e Catterina. Il capostipite dei Bosio era fuggito di casa (da Concesio) quando aveva più o meno 10 anni, si era nascosto sotto il sedile di un carrettiere di Goglione ed era arrivato là. Non ha mai voluto rivelare da dove veniva ed è rimasto a fare il famiglio. Quando è morto ha lasciato una casa e 10 piò di terra ad ognuno dei suoi 7 figli.

Quanto ai Catterina, gli antenati erano ricchissimi commercianti di legnami che da Storo spedivano a Brescia e a Salò buttandoli giù per il Chiese (ah, il Chiese!). Ricchissimi fino a quando un antenato sposò una donna bellissima e ricchissima anche lei (era definita “una delle tre bellezze di Brescia”), esponente della famiglia Tirandi. Bene, anzi male, malissimo, perché si ridusse sul lastrico, un vero “discusìt”.

Il papà di Paolo raccontava che quando era piccolo aveva trascorso una giornata particolare il giorno in cui il suo papà (il nonno di Paolo) e la sua nonna (la Tirandi) erano andati all’apertura del testamento del vecchio e straricco Tirandi. Questi, pur di non lasciare gli enormi possedimenti al dissennato antenato aveva diseredato la figlia creando, piuttosto, una fondazione (la Fondazione di Studi Superiori Tirandi che esiste ancora oggi a Brescia). Il papà di Paolo ricordava che il nonno e la bisnonna erano rientrati a casa molto abbattuti: la bellissima bisnonna gli aveva però dato delle caramelle…Ma questa è un’altra storia.

Ci sentiamo domenica prossima, a Dio piacendo
                                                                                                       
maestro John

Nelle foto:
1)La famiglia Bosio, nonno Luigi (Nino), nonna Angelina e 11 figli (uno era rimasto in Russia ed uno morto a pochi mesi di età).
2) Zia Cìa e zio Danilo nel 1978
3)Foto del 1964: nella cascina dove lavorava lo zio Danilo, festa per i 74 anni della nonna con tutti i discendenti Bosio. Uno zio che era centralinista al “Giornale di Brescia” aveva fatto pubblicare la fotografia con un gustoso trafiletto. A guardare bene, si trova Paolo, nato da una settimana, in braccio alla mamma (Bosio).
4) Paolo Catterina a 9 anni, nel 1973, felice dopo aver vinto una corsa ciclistica alla sagra che si teneva a Celle (la bella contrada di Prevalle) il giorno di San Carlo, patrono della chiesetta della frazione. Coppa e biscotti come premio.


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