La chiesa di Sant'Antonio in Castèr e l'affacciarsi del Rinascimento in Valle Sabbia
di Alfredo Bonomi





Procedendo sulla strada che costeggia il lago d’Idro e che sostanzialmente riprende il tracciato dell’antico collegamento tra la Valle Sabbia ed il Trentino, prima del bivio per Bagolino, su un dosso, si mostra in tutta la sua misurata eleganza la chiesa di Sant’Antonio di Castér.
I lavori stradali degli ultimi decenni hanno in parte ridimensionato la fisionomia del luogo, con la chiesa quasi sul ciglio di un possente muro.

L’ubicazione però è comunque eloquente e parla in abbondanza di un passato ricco di storia, dove l’arte ha occupato un posto di rilievo.
La chiesa, posta in alto, sembra voler salutare chi transita per la strada ed è comunque un significativo richiamo che non può essere ignorato, anche solo con uno sguardo fugace. Sant’Antonio si può ben definire una sentinella di storia d’arte.

Ha origini antichissime e la sua ubicazione ricorda il “castrum”, l’importante sistema difensivo prima della costruzione della Rocca d’Anfo, nella seconda metà del 1.400, già esistente nell’anno Mille.

Era certamente una costruzione notevole che controllava il percorso delle valli trentine verso la pianura padana. Il nome “Castér” lega l’attualità a questo passato. Probabilmente sul sito della fortificazione o nelle immediate vicinanze (sarebbe interessante un approfondimento archeologico) a metà del 1.300 venne eretta una chiesetta dedicata al santo ancoreta Antonio.

Già nel Trecento la primitiva chiesa ospitava, all’esterno e all’interno, affreschi di pregio. Ma è con il dominio veneto che, sull’onda della costruzione della Rocca d’Anfo, la chiesetta venne in buona parte demolita, ricostruita poi più ampia con il profilo architettonico che ora possiamo ammirare.
Alla compostezza delle linee architettoniche esterne si accompagna un interno che è un autentico “gioiello artistico”, uno dei più rilevanti in assoluto tra quelli che si trovano in Valle Sabbia.

Della primitiva costruzione rimane un’importante reliquia, il frammento di un grande affresco raffigurante “l’ultima cena”.
Tra il 1488 e il 1489 la chiesa venne decorata con un cielo di affreschi nel presbiterio, con la “storia” della vita del Santo sulle pareti laterali, la “crocifissione” in fondo e i quattro “evangelisti” nella volta.

Sul lato verso il lago una cappella dedicata ai martiri cristiani venne decorata dalla stessa bottega attiva nel presbiterio. Molto è andato perduto, però è ben visibile la figura del mitico Ercole, al quale erano paragonati i santi martiri cristiani. Osservando questi affreschi, specialmente le figure dei quattro “evangelisti”, l’emozione che si prova è forte.
Le figure hanno perso la fissa linearità gotica per mostrare la singola individualità corporea e spirituale.

Ci troviamo in un contesto rinascimentale raffinato ed elegante che denota l’impegno di un pittore di alta qualità, o forse anche di più pittori, ma uniti da un’unica visione artistica.
Allo stato attuale delle ricerche non è certissimo il nome dell’autore di questo cielo, anche se il richiamo a Liberale da Verona, e al suo ambito pittorico, non è peregrino.

I recenti restauri eseguiti da Romeo Seccamani, data l’indiscussa professionalità del restauratore, sono riusciti, nonostante il tempo trascorso dall’esecuzione degli affreschi e le perdite patite, a mettere bene in evidenza l’”Atmosfera rinascimentale”, inusitata per la Valle Sabbia.
Guardando bene questi affreschi si intuiscono i legami che la valle, specialmente la parte più vicina alla Rocca d’Anfo, ha avuto con città e territori che hanno contribuito in modo determinante a definire la storia della pittura italiana.

La presenza di così importanti affreschi
richiama anche le diverse personalità d’ingegno che hanno avuto modo, proprio nei secoli XV e XVI di recarsi alla Rocca.
Ne deriva quindi un circuito culturale ben più vasto della “geografia umana” locale. A questo riguardo s’impone una riflessione.
Il segno lasciato dall’ingegno umano rimane a lungo, anche se in apparenza sepolto, influisce sul modo di pensare e di agire delle comunità locali.
Una civiltà non muore del tutto anche perché costringe al confronto ed in questo senso gli affreschi di Sant’Antonio sono ancora più importanti.

Alfredo Bonomi

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