Ha ancora senso «sentirsi della valle»?
di Alfredo Bonomi

«Senza adeguati servizi il ‘locale’ diventa emarginazione, povertà economica e sconfitta dell’inventiva».
Spunti riflessivi di Alfredo Bonomi che pubblichiamo volentieri



La società corre veloce e sempre più spesso avvertiamo mutamenti che incidono in modo determinante sul nostro vivere quotidiano.
Sono cambiamenti che s’impongono con forza, che spesso subiamo e che ancora più spesso ci trascinano indipendentemente dalle nostre singole volontà.
Abitudini consolidate lungo i secoli, modi di vita ritenuti prima come la norma di riferimento per l’agire quotidiano, hanno lasciato il campo ad altre pratiche di vita, a loro volta sottoposte alla velocità del mutamento.

La cosiddetta “globalizzazione”, un termine che andrebbe ben sviscerato nel suo esatto significato e nelle conseguenze che sta portando nel nostro vivere, ha dilatato gli spazi geografici ed umani. L’ambito locale, vale a dire l’orizzonte territoriale che, per secoli, è stato di riferimento quasi obbligato per chi si trovava a percorrere la traiettoria della vita, sino a diventare il ‘contenitore’ di una ‘civiltà locale’ avvertita come indispensabile, considerata fondamentale, curata e difesa, è oggi assai indebolito.

E’ pur vero che la forza delle tradizioni e del vissuto delle generazioni che ci hanno preceduti, è profonda ed ha plasmato il carattere delle persone che, pur avvolto dalle novità, rimane nella sua ‘forma interiore’ più stabile di quel che sembra.
Viene allora quasi spontaneo, guardando gli orizzonti geografici della nostra valle, sostare su quelli umani per riflettere ed interrogarsi su una questione che non è secondaria.

Molto è stato scritto sulla valle, sul carattere dei valsabbini, sulla storia di queste comunità.
Abbiamo rivendicato un nostro carattere operoso e sobrio, abbiamo scavato nella nostra storia per fissare il percorso di una ‘comunità locale’ che, per parecchi secoli, ha contrattato con i ‘Poteri centrali’ un’autonomia amministrativa, più precisamente la libertà di decidere nel concreto delle questioni di ‘ogni giorno’.
Nel corso degli anni sono emerse non soltanto la tenacia e la dedizione al lavoro dei valligiani, ma anche le molte sfumature dell’animo della ‘gente locale’, la genuina religiosità e la paziente pratica nel gestire le poche risorse a disposizione per migliorare la qualità della vita.

Questa valle è giunta ad essere la ‘Piccola Patria’ nell’ambito dei un più vasto contesto, per cui essere ‘valsabbini’ ha significato sentirsi di un ben determinato ‘timbro’ sociale, religioso ed economico ed essere orgogliosi per questo, sino a rasentare forme di acceso campanilismo.
E’ opportuno ripercorrere con la mente, seppur in modo necessariamente sommario, alcune tappe di questo ‘farsi comunità’, per poter riflettere meglio sul presente, sulle sue angosce, sui suoi drammi, sulle paure, sulle conquiste e sulle speranze per il futuro.

Agli albori dell’anno mille, le prime forme di organizzazione comunitaria dei borghi, le Vicinie, ricercavano l’autonomia nella regolamentazione dell’uso e dello sfruttamento del patrimonio comune, come i boschi ed i pascoli, con norme precise per garantire tutti gli ‘originari’ di un paese e per evitare soprusi da parte  di qualcuno.
E’ questo il periodo del tramonto del Feudalesimo.

Poi ci si accorse che non bastava l’organizzazione dei singoli borghi e che servivano organismi più vasti. Vennero così gli agglomerati di più Vicinie  e le ‘Universitas’, che raggruppavano Vicinie omogenee per geografia e per interessi, per giungere infine alla Comunità di Valle, nei documenti definita ‘Comunitas Vallis Sabij’, come concretizzazione di una unità morale e come sintesi dei diversi interessi e delle aspirazioni.
Tutto questo nell’ambito della perenne richiesta delle popolazioni periferiche a partecipare alle decisioni che le riguardavano e nel desiderio di autogestirsi uno spazio nel ‘vivere di ogni giorno’, codificato poi nelle norme chiamate “Statuti”, che più semplicemente possono essere indicate come la ‘legge locale’.

Questa storia è assai interessante
e la tenacia che la sorregge può essere di aiuto anche per l’attualità.
Bastano pochi cenni per comprendere la fertilità di un percorso significativo.
Nel sec. XIII si organizza l’ “Universitas  Perticae  Vallis  Sabij”. E’ la forma più antica sovracomunale, probabilmente la prima associazione di Comuni della nostra zona.
Univa con un vincolo normativo tutte le Vicinìe dei territori oggi più noti con i nomi di Savallese e delle Pertiche.

Questa ‘Universitas’
si dota nel 1382 di propri Statuti; molti altri borghi si organizzano con la propria legge locale, come Volciano nel 1386 e, più in alto, Bagolino, che nel 1461 redige in latino gli Statuti già attivi da tempo.
Viene poi il turno della “Comunitas Vallis Sabij”, l’organismo amministrativo che dalla fine del 1300 sino al tramonto del Governo Veneto nel 1797, riuniva tutti i paesi in destra idraulica del fiume Chiese.
E’ questa Comunità il punto di sintesi delle istanze amministrative dei valligiani. I suoi Statuti, stampati nel 1573, fissano non solo regole, ma, nella loro articolazione, sono uno ‘specchio della Valle’ che riporta veramente i dati salienti di una ‘cultura locale’ e di una comunità locale che si sente veramente tale.

Dopo più di 150 anni dalla sua morte, nella seconda metà del secolo scorso rinasce la Comunità di Valle Sabbia.
Non è più il tempo del Dominio Veneto, di quello napoleonico, di quello austriaco. Non è più nemmeno quello del Regno d’Italia, ma è quello della Repubblica nata con la Costituzione dopo la seconda guerra mondiale.
E’ in questo nuovo contesto che riprende corpo il percorso dell’identità valligiana.
Emergono progettualità, utopie, desideri, tenaci sforzi, rivendicazioni rispetto al ‘Potere centrale’, il tutto nel quadro di una ‘società locale’ che non può permettersi di dimenticarsi di lavorare, date le magre risorse di cui può disporre, ma che fa del lavoro uno stile di vita, quasi una ‘religione laica’.

Così, tra fatti storici lontani nel tempo e accadimenti più vicini, siamo giunti ai nostri giorni, in un quadro generale che è quasi irriconoscibile rispetto al precedente.
Nonostante questo, a ben riflettere, pur nel mutare delle situazioni, un territorio abitato è avvertito da chi vi risiede come un contesto familiare; è il frutto di relazioni solide e di radici che magari non si colgono immediatamente, ma che hanno influito e influiscono in modo determinante sul carattere delle persone, sulle modalità del vivere quotidiano, sulla dimensione più profonda dei sentimenti e dei desideri, per i quali val la pena di vivere.

Non v’è dubbio che in un mondo ‘globalizzato’ centro e periferia sono riferimenti che tendono a perdere di significato e che in questo ‘mare di relazioni’ il legame con il luogo che ha dato vita a quella che si può chiamare ‘civiltà locale’, o in maniera più sofisticata una ‘finestra locale’ della più vasta civiltà umana, non vien meno ed ha ancora la sua ragione d’essere.

Sono però indispensabili alcune condizioni, senza le quali il ‘locale’ diventa emarginazione, povertà economica e sconfitta dell’inventiva.
Qualche secolo fa i nostri borghi, attraverso i loro Statuti, fissarono opportunità e limiti ai quali dovevano sottostare i cittadini.
Oggi lo scenario è diverso, ma un dato è certo. Il ruolo che hanno avuto gli Statuti nelle nostre comunità locali attualmente devono averlo i servizi essenziali per la persona, assicurati a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo nel quale abitano.

Solo così si eviterà che la vita in una zona periferica rispetto ai grandi centri, come è la nostra valle, diventi una ‘limitazione’. Solo così si continuerà a far vivere veramente il territorio in un interscambio fruttuoso e prezioso tra l’uomo e la natura.
Se il valligiano potrà disporre dei servizi di cui godono coloro che dimorano in zone più comode rispetto alle attuali ‘regie del vivere’, non solo non temerà la globalizzazione ma, da cittadino attivo nei doveri e nei diritti, sarà sempre più in colloquio fecondo con il territorio.

Lo sguardo del valligiano,
come quello di tanti abitanti dell’ ’Italia minore’ si posa spesso su paesaggi assai belli. Il paesaggio non è però ‘Natura statica e distaccata’, si svela pienamente quando lo sguardo dell’uomo è sereno, ma per essere tale deve essere tranquillo e la tranquillità è, per buona parte, alimentata dalla certezza di poter disporre dei servizi essenziali per una vita dignitosa.

I ‘servizi alla persona’
oggi per la dimensione locale assumono, proprio per la ‘dignità’ che danno alle persone, l’importanza ed il ruolo che hanno avuto gli ‘Statuti locali’ nei secoli passati.
Senza questa garanzia di omogeneità di trattamento tra tutti i cittadini, le comunità locali ‘di Valle’, o periferiche, diventano ‘pulviscolo di agglomerati umani’ impoveriti, all’interno della vastissima dimensione della globalizzazione, che può significare tutto, ma anche nulla.

Se la garanzia sarà ‘attuazione della positività’, il valligiano farà ancora ‘comunità’; diversamente diventerà spettatore impoverito culturalmente ed economicamente, di scelte che spesso non rispettano la dignità umana.

Alfredo Bonomi
Valle Sabbia, primo Aprile 2021
(tempo di ‘settimana santa’)


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