La gran «macchina lignea» dell'ancona del santuario di Auro
di Alfredo Bonomi

Dove uomini, virtù ed angeli, concorrono a rendere gloria alla Vergine


Terra densa di storia e di operatività è quella del Savallese e non solo negli anni recenti, ma anche nel passato.
Attività economiche, come la lavorazione della lana e del ferro, hanno reso ricchi parecchi ceppi famigliari, emigrati poi a Brescia, ma anche a Venezia. Tra storia e leggenda si muovono personaggi con carattere forte, come quell’Oberto da Savallo, forse un Freddi, che ha impaurito persino l’abate di Leno.

Accanto ad Oberto, nello scorrere della storia si sono affacciate altre personalità, imprenditori di talento, studiosi ed ardenti patrioti nel nostro Risorgimento.
Una buona economia e la fede hanno arricchito le diverse contrade di chiese con notevoli opere d’arte. Una di queste, quasi nascosta alla vista, è il santuario della “Madonna della Neve” sopra Auro.

Secondo la tradizione, resa più veritiera dalla fede, ad Auro il primo agosto del 1527 la Vergine apparve ad un povero pastore, Bortolo Silvestri, storpio ad un braccio ed ad una gamba e lo guarì.
Da questo fatto miracoloso, letto come un messaggio della Vergine ai fedeli per spronarli al bene, ha origine il santuario, la cui costruzione è stata assai veloce e probabilmente il tempio era già terminato nel 1555.

Da subito divenne il santuario di tutto il Savallese a cui i fedeli della “Universitas Savalli” accorrevano solennemente due volte l’anno. Questo portarsi al santuario si chiamava, e si chiama anche oggi, “Il Ricorso”.

La ricchezza del contenuto artistico della chiesa è dovuta proprio a questo suo essere inter-parrocchiale. E’ per questo che poteva vantare due tele del Moretto, qui giunte sicuramente per l’interessamento di personaggi usciti da famiglie ricche discese a Brescia. E’ proprio il caso della famiglia Savallo che ha dato uomini di chiesa, di pensiero, ben legati all’ambiente vescovile.

Uno dei due quadri, quello assai importante che rappresentava la “Vergine con il Bambino e S. Giovannino” è andato perduto, si dice venduto nel 1800, ma il bellissimo “S.Antonio Abate” posa ancora il suo sguardo severo e paterno su tutta la Valle Sabbia.
Nel santuario c’è stata l’epoca artistica del ‘500 nelle pale, poi è venuta quella del ‘700 con una rassegna di intagli lignei attribuiti alla bottega dei “Boscaì” sicuramente da annoverare tra i più importanti della valle.

L’ancona lignea dorata dell’altare maggiore è imponente. Non basta la sua grandiosa scenografia a renderla importante, vi concorrono molti elementi, alcuni tipici della scuola “boscaina”, altri più autonomi.
L’ancona si presenta con una costruzione architettonica solida, ma nel medesimo tempo snella. La sua “aria artistica” è vicina a quella dell’altare maggiore della parrocchiale di Levrange, ma questa è meno vaporosa. 
Vi concorrono elementi tipici degli intagli dei “Boscaì”, ma forse c’è anche stata la collaborazione di Bortolo Zambelli, perché alcuni dettagli richiamano la sua arte.

Due colonne con intrecci floreali, poste su dadi altrettanto ricchi di intrecci, sostengono la trabeazione che si trasforma in una cimasa veramente immaginifica. Ai lati delle due colonne le statue della Fede e della Speranza sono un preludio a quella della Carità che è incoronata, al centro della cimasa, mostrata qui come la più importante delle Virtù per la pratica di una vita veramente cristiana.
E’ rappresentata come una donna formosa con due putti che si aggrappano alla sua veste dorata, mentre ne tiene in braccio un terzo.
Tutto intorno altri angeli fan da corona, sia per far onore a lei, sia alla Vergine a cui è dedicato il santuario, mostrata nella grande pala della fine del sec. XVI o degli inizi del successivo, in uno stile pittorico che richiama i modi di Pietro Marone.

Questa visualizzazione in legno dorato dell’atto caritativo ben si addice ad un santuario mariano ed ai fedeli che dalla preghiera alla Vergine trovano linfa per praticare poi il mutuo soccorso e la carità tramite l’importante Confraternita fondata all’atto stesso della costruzione del santuario.

Il tutto è sostenuto da sei figure statuarie in forma virile, tre per lato, coperte solo da perizomi dorati di foggia variata. Su queste figure si possono condurre delle ipotesi. Sono somaticamente riferite all’età dell’uomo: due sono giovani, due maturi, e due anziani. Rappresentano le tre fasi della vità?
Forse, ma non necessariamente. Più verosimilmente queste statue vogliono essere un virtuosismo artistico che coglie l’anatomia dell’uomo, così come si evolve con il trascorrere della vita.

Questi talamoni
sono stilisticamente lontanissimi dai “mori” di Avenone e non solo perché questi ultimi sono stati intagliati cinquant’anni prima.
Richiamano invece quelli di Levrange ed è questo un certo indizio che siamo o in ambito dei “Boscaì” o in una bottega a loro molto vicina.

In questo santuario gli uomini, gli angeli, le virtù scolpite, rese più preziose dal vestiario dorato, sono un “inno intagliato” alla Vergine.
Ne esce un “quadro artistico” sereno, come si addice al clima di un santuario mariano, dove il devoto fedele invoca la Madonna come colei che intercede presso Dio perché siano perdonate all’uomo le manchevolezze che commette nel corso della sua vita.

Alfredo Bonomi

.in foto: il Sant'Antonio Abate del Moretto

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