La verità della menzogna
di Leretico

La menzogna è qualcosa con cui abbiamo a che fare tutti giorni...


... leggiamo sui giornali la descrizione di un avvenimento, un politico ci promette un vantaggio se votiamo per lui, una pubblicità ci promette la felicità.
Insomma, mentire sembra l’abitudine più inveterata dell’essere umano.

Non ci scoraggiamo, evitare la menzogna è impossibile, tanto che abbiamo inventato termini differenti per discriminare la menzogna buona da quella cattiva.
Chiamiamo infatti bugia la menzogna “a fin di bene” mentre definiamo appunto menzogna quella votata al male.

Una mamma inventa ogni sorta di bugie per convincere il proprio bimbo ad andare a dormire presto, e noi siamo disposti a perdonarla proprio perché vediamo nelle sue intenzioni un fine buono. Non abbiamo la stessa disponibilità per le menzogne di un criminale.

Menzogna viene dal verbo “mentire”.
In esso risuona, non a caso, la stessa radice della parola “mente”, ossia il luogo dove magicamente avviene la “rappresentazione” della realtà. I sensi registrano variazioni provenienti dal mondo, trasmettono questi segnali al cervello che li trasforma in “rappresentazioni”, le quali, appunto, appaiono nella mente.

Ciò che appare nella mente è dunque una menzogna, ossia appare una rappresentazione di quanto è supposto provenire dal mondo esteriore, senza tuttavia alcuna garanzia di veridicità.
Ora, immagino vi starete chiedendo perché ciò che nella nostra mente appare dovrebbe essere necessariamente una menzogna. La risposta è semplice: poiché pensiamo che la rappresentazione della cosa che appare nella nostra mente non è la cosa stessa, è qualcos’altro, qualcosa di diverso insomma.

Per questa ragione dobbiamo per forza credere che i due concetti siano separati: da una parte la rappresentazione, dall’altra la cosa rappresentata.
Tale separazione fa sorgere dubbi sulla corrispondenza tra ciò che compare nella nostra mente e la realtà del mondo.

Cartesio (1596-1650) ammise, con grande naturalezza, l’impossibilità di risolvere questo dubbio, ossia quello sulla corrispondenza perfetta tra rappresentazione e cosa rappresentata. Solo Dio era in grado di “garantire” tale corrispondenza – la celeberrima “adequatio rei et intellectus”, come dicevano i tomisti.

Nella vita quotidiana non ci preoccupiamo molto di questo problema, tranne quando dobbiamo raccontare un evento. Inseriamo nel nostro racconto ciò che ricordiamo. Tali ricordi, descritti processualmente, sono immagini delle rappresentazioni che a suo tempo si sono create nella nostra mente quando l’evento lo abbiamo vissuto: una doppia rappresentazione, una doppia menzogna insomma.

Da questo garbuglio non si esce senza fatica e senza un po’ di angoscia.
La fatica di voler persuadere il nostro interlocutore, l’angoscia di non essere creduti.

Siamo condannati al destino del “verosimile”, ossia al prevalere della “credibilità” sulla verità.
Ogni volta che raccontiamo un fatto, partiamo sempre dall’incredulità dell’altro con l’obiettivo di trasformarla in credenza. Il risultato non dipende unicamente dagli elementi contenuti nel nostro racconto, ma anche dalla qualità della fonte, ossia dalla nostra credibilità.

Facciamo una sintesi: poiché non ci può essere corrispondenza perfetta tra rappresentazione del mondo che appare nella mente (qui sinonimo di coscienza) e la realtà, ossia tutto ciò che è esterno ad essa, allora l’uomo vive immerso completamente nella menzogna.

Stanno proprio così le cose?
Risuona lontano l’eco evangelico di una frase: la verità vi farà liberi (Giovanni 8, 31-32). Tuttavia, se la verità non fosse accessibile non ci rimarrebbe che essere schiavi della menzogna.

Cartesio tentò di risolvere lo spinoso problema non solo rimettendosi alla volontà garante e benefica del divino, il quale nella sua somma bontà non intende certamente ingannare l’uomo, ma anche segnando un punto fermo: l’uomo, sebbene immerso nel dubbio e nella menzogna, non può negare che il suo dubitare esista. Tutto è dubbio tranne il proprio dubitare.
Dubitare significa pensare, quindi tutto è dubitabile tranne l’esistenza del pensiero.
D’accordo, dissero alcuni suoi contemporanei, ma che fine ha fatto il mondo esterno? Esiste o non esiste quel mondo che ci manda segnali che noi trasformiamo in percezioni?

La scienza, insieme al senso comune, afferma che irrefutabilmente il mondo esterno esiste e basa tutto il suo sapere su questa convinzione, costruendo su essa tutta la sua potenza di trasformazione del mondo.
Tradotto: le nostre condizioni di vita, nonché la durata della nostra esistenza, sono migliorate molto negli ultimi cento anni, molto di più di quanto siano migliorate nei milioni di anni precedenti, dalla comparsa dell’uomo sulla terra in avanti.
D’accordo la scienza è potente, ma che il mondo esterno al pensiero esista non può essere solo un convincimento, dovrebbe essere un’affermazione fondata.

Ebbene, la scienza non è riuscita a trovare tale fondamento stabile, si è infatti autodefinita “ipotetica”, si è fermata alla credenza, alla convinzione, non potendo arrivare alla verità definitiva di un fondamento vero.

Non disperiamo, non esiste solo la scienza, per fortuna, anche se essa è più che benvenuta. Esiste anche il nostro pensiero. Provate a pensare, dunque, al mondo esterno.
Provate a farlo in modo non superficiale: vi renderete conto che se non esistesse il pensiero, la mente, la coscienza, il mondo non avrebbe nessun luogo dove apparire.
Senza coscienza non ci sarebbe il mondo. Non vale il reciproco, perché l’ipotesi di esistenza del mondo esterno alla coscienza può essere espressa solo all’interno della coscienza.

Insomma, il mondo che vediamo, tocchiamo, ascoltiamo si fonda sulla nostra coscienza. Niente coscienza, niente mondo.
Credo questa sia l’intuizione a cui Cartesio era arrivato nel XVII secolo, anche se fu perfezionata solo due secoli dopo la sua scomparsa.
Morì di polmonite, non so se per infezione da coronavirus, nel 1650 a Stoccolma, dove era stato invitato dalla regina di Svezia a tenere delle lezioni.

Cartesio ha avuto grandi meriti filosofici e scientifici ma per una cosa lo dobbiamo ringraziare particolarmente: ci ha fatto comprendere che la verità esiste dentro di noi e, cosa più importante, quale sia la verità della menzogna.

Leretico

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