Quei 4 amici nella grotta
di Maestro John

L’addio al maestro Piero Simoni è stato celebrato da molte persone. Anch’io, nel mio piccolo, lo vorrei ricordare. Senza dimenticare, alla fine, altre due persone che ci hanno lasciato, Vittorio Franzoni e Gianni Amolini


Il maestro Piero l’ho conosciuto quand’ero scolaro, quando ci si metteva in riga insieme alle altre classi e si cantavano le canzoni patriottiche. Io avevo prima la maestra Scolari e poi il maestro Grumi: erano i tempi in cui si diceva la preghiera in classe prima delle lezioni, con la blusina nera con tanto di numero della classe scritto in caratteri “romani”.
Poi, da ragazzo, incontravo il maestro Piero al “Centro di Letture e Informazione” (era subentrato al maestro Mario Baronchelli, papà del mio caro amico Silvano e di Federico).

Sinceramente, entrando in biblioteca avevo un po’ di soggezione, forse per la sua figura austera, per la voce squillante e la caratteristica barba... Tant’è che una volta avevo scelto un libro sulla storia di Annibale, ma inavvertitamente ho fatto scadere i termini della consegna.
Avevo timore a riportarlo, temevo una lavata di capo: forse Annibale sta ancora valicando le Alpi della mia vecchia libreria…

Il maestro l’ho conosciuto bene da giovane, quando ero nella Commissione della Biblioteca: di stampo liberale, lo apprezzavo per la sua visione del mondo e per le battute taglienti. Lo vedevo spesso in giro per il paese, con i cappello in testa, nell’auto guidata dalla moglie Luciana Massolini.
Classe 1935, sorella di Francesco (impegnato nell’Amministrazione Comunale), lavorava in ufficio all’Ospedale e ci ha lasciati anni fa.

Il maestro Piero è il quinto di 7 fratelli: Giuseppe (classe 1909), Attilio (1911), Bianca (1913) Alba (suor Guglielmina, 1914), Pietro (1° gennaio 1920), Renato (1922) ed Enzo (1924).
Suor Guglielmina era all’asilo delle Madri Orsoline, ed era piccola come noi bambini.  La signorina Bianca (che ci ha lasciati nel 2015, alla bella età di 102 anni) la vedevo sempre nella farmacia del dottor Guido Franchi e la incontravo sulle scale del “grattacielo” dove abitava al piano sopra quello della mia famiglia.

A scuola ero compagno di classe del figlio di Enzo, Marco, appassionato di fotografia e di video (come il Progetto di archeologia sperimentale sulle tecniche di aratura di 4000 anni fa, condotto dal Gruppo Grotte Gavardo).

Ho conosciuto i figli del maestro Piero, i gemelli Livio e Misa, nati nel 1960. 
Livio ha sposato Anna Portesi (che da ragazza portava il pane guidando un motorino) ed hanno due figli, Stefano e Matteo (che ha recitato con il Gruppo Teatrale Gavardese in “W il parroco!” per il 40° anniversario di sacerdozio di don Giacomo).
Misa l’ho conosciuta quando stava partendo per il Burundi, per un progetto umanitario, insieme ad Ennio Beltrami; ora ha sposato Rolando e vive con la famiglia a Bruxelles.

Il maestro Simoni, uomo appassionato di cultura, ha fatto tante di quelle cose che è impossibile elencarle tutte.
Chiamato da mons. Ferretti, lavorò nel comitato di redazione de “Il Ponte”, insieme ad Antonio Abastanotti (allora presidente della sezione dell’Azione Cattolica adulti), Antonio Inzoli, Cecilia Zane, Gianni Borgognoni per le notizie sportive, Aristide Giustacchini per le notizie dal Comune.
Il maestro fece parte della compagnia teatrale la “Concordia”, coordinata dal caro don Andrea Persavalli e con gli attori Chiodi Eliseo, Turotti Fausto, Bontempi Vittorio, Leni Nino, Amedeo Re, Enrico Devoti ed i fratelli Piero e Gino Tedoldi.
Il maestro Piero fece parte del Comitato Culturale Gavardese: insieme al dott. Marco Marzollo attivò un affollato cineforum presso il Salone Pio XI°.

Ha scritto numerosi libri, tra cui il romanzo per ragazzi “Rompicollo” dedicato “alla memoria del maestro Alberto Grumi, apprezzato collega e amico carissimo”.

Se mi si dovesse chiedere quando è nata in me la passione per le cose antiche, confesso che mi troverei in difficoltà a rispondere.
Così inizia “Memorie di un archeologo dilettante”, dedicato “alla memoria dell’amico Alessandro Dusi, con il quale ho condiviso le prime fortunate scoperte al ‘Buco del frate’.

“Posso dire che fin da ragazzo mi affascinava tutto ciò che si riferiva al remoto passato: e questo, sia che si trattasse di un fossile, di un minerale, o di un francobollo antico.
Negli Anni Trenta –ero allora sui dieci anni- mio padre, che lavorava presso alcune ditte marmifere di Garda e di Torri del Benaco, in occasione di un suo rientro in famiglia mi portò una Ammonite da lui trovata: forse fu quel primo fossile a determinare il mio avvìo verso la paleontologia.”


Quando frequentava in seminario la terza ginnasio, passeggiando con un compagno di classe sul ronco di San Cristo a Brescia, con il piede urtò casualmente un sasso, che si ruppe in due: al suo interno era conservata una splendida conchiglia fossile.
“La raccolsi con emozione, e il giorno dopo la mostrai trionfante al professore di storia naturale. Due giorni dopo, il vice-rettore mi comunicò che un “signore” dell’Ateneo desiderava vedermi al Seminario Santangelo.”

Quel signore lo informa che il fossile era un Lamellibranco molto interessante, ottimamente conservato, risalente all’Era Secondaria –quindi “vecchio” di parecchi milioni di anni- e che pertanto sarebbe stato destinato a far parte delle collezioni scientifiche del Museo Ragazzoni che aveva sede in Castello.

Nel 1946 il fratello Renato, che era stato fatto prigioniero dai francesi a Tunisi, tornando a casa gli portò in regalo una moneta romana di rame dell’epoca dell’imperatore Diocleziano, che aveva raccolto durante la prigionia, zappando in un campo di patate.

“Così si maturava in me, accanto a quello dei fossili, l’amore per l’archeologia…Dovevano trascorrere molti anni prima che la passione, nata nell’adolescenza e sviluppatasi poi in gioventù, assumesse forma e caratteristiche ben precise.”

Questo avvenne nel 1954, quando Piero, nato a Vobarno il 1° gennaio 1920, aveva 34 anni.
Era un giorno di primavera. C’erano questi quattro amici, che se ne stavano seduti attorno a un tavolo del Bar Gianni di Gavardo. Piero, Alberto Grumi (mio maestro!), Alfredo Franzini, commerciante, e il grande pittore Silvio Venturelli.
Il discorso cadde sul solito argomento: come impiegare il tempo libero dal lavoro.

Di comune accordo
decidono di dedicarlo alla esplorazione sistematica delle numerose grotte naturali esistenti nel territorio.
Nacque così, senza clamore, il GGG “Gruppo Grotte Gavardo”.
Come prima uscita venne scelto il  Buco del frate, “Büs del Frà”, la famosa grotta situata nel "carso di Paitone", in quel di Prevalle, la più vasta della zona e la più nota.

E così, la domenica 4 aprile 1954, i quattro amici si diedero appuntamento davanti al maestoso ingresso della cavità.
Dagli zaini fuoriuscivano materiali non propriamente speleologici: salame, vino, pane e formaggio.

“C’era solamente, comune a tutti noi quattro, il desiderio di indagare quell’enorme antro che aveva popolato con le sue leggende la nostra fantasia giovanile, e che esercitava tuttora un irresistibile fascino.”

Tornano in grotta il 17 luglio, con l’aggiunta di altri amici: Sandro Dusi, impiegato comunale, l’universitario Luciano Sarti, Giovanni Bettini, Giampaolo Murgioni, padre Amos Bertuetti e Beppe Lavo (approfitto di questo articolo per salutarlo).
Ma c’è la classica discussione tra amici: chi propone di iniziare lo scavo sulla destra, chi sul lato sinistro, altri ancora che sono dell’idea di spostarsi altrove.

Ma nel gruppo c’era il tipo meno loquace degli altri: era il caso di Alberto (il mio maestro!). Mentre gli amici discutevano, si era allontanato di qualche metro, e se ne stava “grattando” per suo conto in una fessura del gradone: e a un certo punto esclama con malcelata emozione: “Venite! Ho trovato un osso!!”

Teneva in mano un grosso frammento di mascellare di erbivoro, con due molari ancora in sito…
“Dire che questa scoperta ci elettrizzò è dir poco!” Il resto è storia.

Leggete il libro, è davvero un diario emozionante.
Ci sono anche parti umoristiche, come l’episodio di un ritorno dalla grotta.
Alberto (il mio maestro, si è capito?) aveva sul predellino della lambretta un sacco colmo di ossami, il maestro Piero si trovava sul sellino posteriore e teneva sotto braccio la tuta che avvolgeva il cranio intero di “Orso speleo”.

Sulla statale vengono fermati dagli agenti della Polstrada: “Cosa avete nel sacco?” E Alberto: “Ossa!”
E il poliziotto, interdetto: “Ossa? Che ossa?
E Alberto: “Speleologia!
A quella parola, che probabilmente risultava misteriosa al solerte agente, quest’ultimo rispose: “Ah sì…andate, andate pure”

Ma il seguito lo raccontarono gli amici che, in bicicletta, erano stati fermati carichi di ossa, e il solito agente non volle far brutta figura e farfugliò: “Ah sì, spelo…logia…Sì sì, andate pure!”
Naturalmente, quando si ritrovarono tutti insieme, le risate si sprecarono.

L’entusiasmo salì alle stelle e, durante le successive spedizioni, raccolsero una gran quantità di reperti ossei dell’orso speleo e di altri animali preistorici.
La fama del Gruppo incominciò a diffondersi. La passione del maestro Simoni fu contagiosa al punto che in centinaia di persone nacque l’amore per l’archeologia e il desiderio di partecipare alle attività. Nessuno del gruppo iniziale avrebbe potuto immaginare gli sviluppi che quella fantastica impresa avrebbe avuto in seguito.

Grazie all’amico maestro Angelo Mora, pochi anni fa il maestro Simoni, accompagnato dall’esperto “allievo” (era stato suo studente) Angelo Lando, era venuto nelle classi di Prevalle a trasmettere ai bambini, lucido e intenso come un saggio filosofo, la passione per l’archeologia.
Qualche giorno dopo i bambini erano scesi nelle profondità della grotta, aggrappandosi a corde o a scale. Tutto questo con la preziosa collaborazione degli Alpini, dei Volontari della Protezione Civile, dell’Associazione Combattenti e Reduci.
Tra gli alpini c’era il mitico Ondei (persona di grande cultura e profonda umanità) ed il leggendario Francesco Maioli, per tutti ‘Cecco’, uno dei primissimi esploratori del Gruppo Grotte Gavardo.

A volte può succedere che una grotta buia e fredda ricrei l’incanto della scoperta, dello stupore. Le stalattiti, gli anfratti, le varie rocce carsiche, la discesa sdrucciolevole, il fango, l’argilla, hanno suscitato un’emozione intensa.
E quando il signor Lando ha mostrato, laggiù, nel buio, la lampada al carburo che usavano i primi esploratori, dai bambini è partito un “oooh!” di meraviglia.
Molti bambini tornando a casa sporchi e stanchissimi, hanno gridato: “È stata la più bella gita della mia vita!”
Penso che questa sia una delle più belle eredità che ci ha lasciato il maestro Piero.

Concludo ricordando due persone che ci hanno lasciato.
Sulla Via Romana, a Villanuova, vicino al ponte sul fiume Chiese, nel punto dove è accaduto il tragico incidente sul lavoro in cui ha perso la vita Vittorio Franzoni, c’è un mazzo di fiori con la scritta “Fai buon viaggio”.
Tutte le persone che passano di lì guardano quei fiori e mandano un pensiero alla moglie ed al figlio di appena 11 anni.

E come non piangere,
quando leggi che Gianni Amolini ha raggiunto in cielo il suo amatissimo Massimiliano?
Il figlio era una persona eccezionale: rimasto tetraplegico a causa di uno sfortunato tuffo nel lago, costretto a letto per 30 anni, ha lasciato una straordinaria testimonianza di attaccamento alla vita.
Il papà e la mamma erano sempre accanto a lui, ed accoglievano con grande affetto tutte le persone che venivano in casa a portare un sorriso. Spero e prego che mamma Imelda trovi il coraggio per continuare la storia d’amore della propria bella famiglia. Coraggio!
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,
maestro John

Nelle foto:  
1) Il maestro Piero Simoni con alcuni amici collaboratori (grazie all’amica Anna per la foto)
2) Il maestro con i familiari prima della festa a lui dedicata dal Coro “La Faita” dal titolo “Grazie maestro, maestro di storia e di vita”
3) La sorella Bianca
4)Il saluto degli amici a Misa ed Ennio, prima della partenza per il Burundi

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