Un ponte veneziano in Valsabbia
di Alfredo Bonomi

Chi transita per Vobarno non può fare a meno di notare l’eleganza del grande e robusto ponte, costruito sul Chiese al centro del paese


Il ponte non è soltanto bello, un dato questo inconfutabile, non solo richiama il ritmo architettonico di quelli di Venezia, la doviziosa capitale alla quale ha fatto riferimento il paese per quasi quattrocento anni, ma c’è di più.
Idealmente ed anche praticamente, è una sintesi storica che richiama il “feudo di Vobarno”, prima imperiale e poi vescovile, e la pieve che ne ha acquisito i diritti e che è da annoverare tra quelle più antiche della diocesi bresciana.

Il ponte è posizionato al centro del paese, in un punto strategico dove, sin dai tempi dei romani, giungeva la strada che, dall’attuale Pompegnino, attraversava l’”agro”, la piana agricola preziosa per gli abitanti di allora.
Prima della costruzione del ponte, i viandanti attraversavano il fiume con guado nel punto meno pericoloso. Lo sviluppo del feudo e poi della “corte vescovile” che ne ha ereditato i benefici, richiedeva però un centro con un ponte adeguato.

Esso immetteva nella “corte feudale”, passata nei sec. X o XI sotto la giurisdizione del vescovo di Brescia. Comprendeva la pieve di S.Maria, il battistero di S.Giovanni, un molino con tre ruote, una fucina, la casa “domenicale”, la potente torre, ora campanile della parrocchiale, altre dimore legate alle esigenze della “corte”.
Si accenna anche a presenze “più umili”, ma indispensabili, come quella di un calzolaio e di un tessitore. Il tutto reso più sicuro da mura che, dopo aver cinto il borgo, si raccordavano alla rocca posta sulle aspre pendici del monte Cingolo.

Vobarno, con la sua pieve, era luogo strategico per i collegamenti con il nord, attraverso la Degagna, o seguendo la via di fondovalle verso Sabbio.
Il paese aveva quindi anche un ruolo militare, oltre che essere significativo dal punto di vista religioso. Era pure punto di partenza per gli svaghi della caccia praticata dai potenti di turno, fossero religiosi come il vescovo oppure laici.
Da Vobarno si spostavano nella valle della Degagna, sui monti verso Treviso, o su quelli più alti che dividono il territorio valligiano da quello del lago di Garda, essendo queste zone ricche di selvaggina.

Gli abitanti più umili pagavano la protezione vescovile, oltre che con i tributi tipici di un feudo, anche se non eccessivamente gravosi, con l’obbligo di intervenire alle battute di caccia per compiere mansioni, anche pericolose, per rendere più facile l’abbattimento degli animali cacciati.

Tornando al ponte, in questo scenario, si comprende bene la sua essenziale utilità. Il guado del fiume infatti venne reso più facile con la costruzione di un ponte fatto con legname appositamente predisposto.
L’obbligo di fornitura del legname non riguardava solo le quattro “Deganie” che componevano la pieve, quella di Piano, cioè l’attuale Vobarno, quella di Prandaglio, quella di Carvanno e quella di Teglie, ma anche comunità più lontane perché traevano beneficio dal ponte e dalla strada, indispensabili per i commerci.

In un documento del 1300, conservato in un registro della “Mensa” dell’archivio vescovile di Brescia, intitolato “Possessioni e affitti in Vobarno nell’anno 1300”, si citano i paesi di “Provalio” (Provaglio V.S.), “Lyani” (Liano), “Ano” (Capovalle), Ydro (Idro), “Aestino” (Valvestino). Tutte queste comunità dovevano concorrere in maniera ben definita a mantenere in ordine il ponte e soprattutto idoneo al passaggio delle persone e dei carri.

Con il trascorrere del tempo però il ponte in legno risultò inadeguato, oltre che poco decoroso per il complesso della “corte vescovile” e per il paese che andava acquistando un ruolo sempre più marcato.

Il pieno periodo veneto, nei dibattiti pubblici, si fece presente la necessità di un ponte nuovo.
La Vicinia di Vobarno nella riunione del 3 ottobre 1604 deliberava di “costruire un Ponte di pietra con un arco solo”. Il 5 giugno del 1605, la “General Vicinia del Comune” con apposita delibera dava inizio alla fase concreta della proposta del 1604. Il 13 novembre del 1611 il “Consiglio speciale” prendeva atto della spesa sostenuta per “far la Fabrica del novo Ponte di Pietra”.
Questa è la testimonianza certa che l’opera era stata eseguita nella forma consigliata dai Periti. Ad una sola campata ribassata, il ponte è sorto robusto ed adatto a resistere alle forti piene.

E’ da questa data che il ponte sfida il tempo e la forza dell’acqua ed è ancora da questa data che ha visto l’evolversi della vita religiosa, economica e sociale di Vobarno.

E’ stato, ed in parte lo è ancora, il decoroso collegamento tra il “cuore antico” del paese, con una storia non di poco conto, e l’espandersi delle costruzioni “oltre il ponte”, specialmente a partire dalla seconda metà del 1800, con il notevolissimo sviluppo industriale del paese.

Alfredo Bonomi


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