Lo spiedo, un piatto culturale bresciano
di Cristian Bonomini

Lo spiedo, meglio conosciuto come “girarrosto” è un piatto che è presente sulle tavole degli italiani da generazioni, ma la sua origine? Da dove viene? Beh, da Brescia e chi è bresciano può capire


Lo spiedo non è un semplice piatto, è tradizione, ma soprattutto è bontà.
Chiunque ne abbia mai mangiato uno, può concludere che sia un piatto ineguagliabile. Non è un piatto, è il piatto che, ad oggi, ha assunto un posto di rilievo nella gastronomia della nostra terra e, inoltre, è il re d’autunno, non è un caso, che questo periodo coincida con quello della caccia alla selvaggina.

Lo spiedo originale, infatti, era composto solamente da selvaggina, ovvero da uccelli grandi e piccoli; qualcuno aggiungeva anche i famosissimi “mumbulì”, ovvero delle fettine di lonza o coppa arrotolate, con un pezzo di salvia al centro e poi, immancabili, soprattutto in Valle Sabbia, sono le patate, amate da tutti, in particolare dai più piccini.
Col passare del tempo, tuttavia, si è iniziato ad aggiungere il pollo, il coniglio e le costine, a seconda anche dei gusti personali.
Lo spiedo, soprattutto qui nel bresciano, è una forma d’arte, tanto da definire tutto il processo come un “rito”.

Il processo inizia con la spiedatura. Solitamente uno spiedo di medie dimensioni in totale contiene circa 100 prese, patate incluse.
Quindi si inizia a mettere le prese, ovvero pezzi di carne, sulle raspe dello spiedo mettendo attentamente una foglia di salvia fra l’una e l’altra per tenerle separate.

È buona abitudine tenere una sorta di schema, infatti si consiglia di ripetere nello stesso modo lo schema delle prese, l’unica regola ferrea è quella di mantenere sempre l’alternanza di mombol e uccello. Se si rispetta bene questo passaggio si è già a buon punto.

Poi, dopo che lo spiedo ha iniziato a girare entra in gioco l’ingrediente che rende il tutto più gustoso, il burro.
In sostituzione del burro, si può usare l’olio, ma in Valsabbia, non bisogna nemmeno pensare di utilizzare l’olio poiché, senza burro, non è spiedo.

Spesso ho sentito dire, soprattutto dai nonni, la frase “o burro, o morte” come per indicare che si preferisca la morte ad uno spiedo senza burro, ovviamente è goliardia.
È un detto che ha il puro scopo di evidenziare il fatto che il burro sia fondamentale. Una volta si utilizzava il burro fresco di malga, per insaporire ancora di più lo spiedo con i sapori e i profumi delle nostre terre, adesso, invece, si usa il migliore che c’è sul mercato.
Si usa un chilo circa di burro per 100 prese.

Tuttavia, la scelta di olio o burro dipende sia dalle tradizioni che dai gusti personali: sulla gardesana, per esempio, in molte zone si usa l’olio d’oliva prodotto dagli ulivi che sorgono sulle sponde del lago.
Io personalmente, essendo allergico al latte, sono obbligato a mangiarlo con l’olio e sono dell’opinione che se lo spiedo è fatto a regola d’arte è buono pure con l’olio, vi do la mia parola.   

Lo spiedo va salato, è abitudine salare non immediatamente, ma dopo un po’ di tempo e in genere si sala 1 o 2 volte, ma anche questo varia in base ai gusti.

Se per ungere lo spiedo c’è la scelta tra olio e burro, sul come servirlo non c’è.
Deve essere  tassativamente servito con la polenta e per farla ci sono vari modi. Per esempio, qui in Val Sabbia, viene fatta all’antica, ovvero realizzata con farina di mais a grana media e con una consistenza media.
Sul Garda, invece, è tradizione accostare allo spiedo la polenta cunsa, o polenta concia, che è semplicemente una polenta con l’aggiunta di un po’ di formaggio, una sorta di nostra polenta taragna.

Il vero e perfetto spiedo esiste?
Sì ed è quello bresciano.
Tant’è vero che è la ditta Ferraboli di Prevalle che si è guadagnata un’ottima posizione nella produzione di girarrosti della scena italiana e soprattutto di quella bresciana. Questa produzione, di una qualità elevata, ha innescato tanti movimenti, tanto da portare nel 2000 la fondazione de ”La Confraternita dello Spiedo Tradizionale Bresciano” a Gussago.
Questa associazione è nata per salvare la tradizione culinaria bresciana che stava pian piano scomparendo dopo una lunga storia di un centinaio di anni.

Ovviamente
lo spiedo, oltre che alla polenta, deve essere accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso che ne esalta i sapori, ma ancora di più deve essere accompagnato dalle belle storie di avventure di caccia e dalle risate delle persone.

Lo spiedo non è solo cibo,
è una cosa molto più importante, può essere il motivo per riunirsi in famiglia o per trovarsi con gli amici per un pranzo, per passare del tempo insieme e, questo, pensando alle nostre vite sempre più frenetiche e impegnate, accade sempre meno.


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