L'ossario di Montesuello
di Alfredo Bonomi

Nel ricordo di ardimentosi giovani combattenti carichi di idealità


Il monumento ossario di Montesuello ricorda la sanguinosa battaglia combattuta da ardimentosi “garibaldini” il 3 luglio del 1866 nel contesto della terza guerra d’indipendenza.
Fu fortemente voluto dai “risorgimentali” valligiani, riunitisi nel teatro di Vestone il 19 marzo 1876. Non volevano che le ossa di quei caduti per un convincente ideale, da loro tenacemente coltivato, rimanessero sparse nei pendii della montagna.

Erano per lo più giovani di diversi ceti, ma in gran parte di buona cultura. Generosi, come lo sono i giovani quando sono mossi da un ideale, sono morti combattendo contro gli austriaci da una posizione di svantaggio.
Il ferimento di Garibaldi in questa battaglia è stata allora una di quelle notizie che “fanno il giro del mondo”.

Dopo la discussione del 19 marzo, il 13 aprile 1883 venne affidato il progetto all’architetto Armando Pagnoni, dimorante a Vestone, ma di origini trentine. Concretizzò l’idea in un elegante manufatto neogotico, secondo lo stile preferito in quel tempo.
Protetto da un’elaborata cancellata in ferro donata dal cavalier Francesco Glisenti, un valsabbino pronto d’ingegno e di capacità economica, industriale e deputato, l’ossario venne inaugurato  con una gran cerimonia il 5 luglio del 1885.

Anche il Consiglio Provinciale di Brescia nella seduta straordinaria del 13 giugno 1882 aveva deliberato un sussidio di £ 3.000, per la realizzazione di un progetto tanto caro a chi si sentiva artefice o partecipe della “costruzione della Patria” senza la presenza di poteri stranieri.

L’ossario domina un paesaggio dove la storia parla. Più in basso il lago d’Idro lascia spazio al Pian d’Oneda che, di fatto, continua nella Val Giudicaria, da secoli trentina.
Il Caffaro ha segnato, a partire dal secolo XI, il confine tra il “mondo italiano” e quello di influenza di matrice austriaca. Qui ha sempre pulsato il confronto di genti sotto amministrazioni di Stati diversi, accompagnato spesso da scontri di eserciti.

Però, il fulcro storico di questi scontri è stato l’800.
Tutto il secolo, sino alla grande guerra del 1915-18, ha visto in questi paesaggi non troppo aspri, ed “al netto” delle operazioni guerresche invitanti all’ospitalità, ben quattro guerre.
Le vicende del 1800 sono tante e variegate e i pochi cenni qui ripresi servono alla nostra memoria e alla nostra riflessione.

Già i primi tentativi operati da valsabbini nostalgici del periodo napoleonico, come Silvio Moretti, Giovan Battista Tonni Bazza ed altri, in quegli anni inquieti che vanno dal 1819 al 1821, partivano dall’idea, per la verità un po’ ingenua, di indebolire il potere austriaco con sabotaggi alle rocche di Anfo e di Peschiera.

L’epopea garibaldina del 1866 va vista nel quadro più generale del Risorgimento italiano. Già nel 1848 una “fiammata di identità e di idealità di Patria” aveva portato giovani ardimentosi in Valle, provenienti da più parti d’Italia, per varcare il Caffaro contro l’esercito austriaco. Nel 1859 si era riproposta la scena in modo più organico. Ma è il ricordo del 1866 che emoziona. L’enorme numero di giovani garibaldini, attirati all’azione dal “mito” di Garibaldi, è uno dei fatti del Risorgimento che non si può dimenticare.

Ben 35mila volontari, giunti da parecchie città, da sedi universitarie, densi di entusiasmo, scanzonati, mossi da elevati ideali, si portarono nella zona attraverso la Valle Sabbia che rimase attonita.
Questa massa di giovani, variamente vestiti, ruppe schemi antichi di pensiero, infiammò altri giovani locali, imponendo modelli di vita e di pensiero mai sperimentati prima da queste parti. Fu un impatto che lasciò un segno profondo.

I “garibaldini” si distinsero in questa zona per un inaudito coraggio.
Non ben dotati di armi, si affidavano all’ardore personale.
Proprio in uno sfortunato scontro su queste balze con corpi austriaci meglio posizionati, ci furono parecchi morti e molti feriti, ricordati nel monumentale ossario. Lo stesso Garibaldi rimase ferito.
La storia è nota e non è necessario riprenderla in questa sintetica “cartolina”.

Rimane però questo monumento-ossario di architettura non banale, recentemente restaurato, a ricordare la commovente idealità di questi giovani nell’affrontare un aspro scontro d’armi, nell’intento di rompere un fronte considerato da secoli un limite oltre il quale altri territori avevano diverse organizzazioni del potere e dello Stato.

Alfredo Bonomi

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