Ingegneria e due ruote
di Luca Pietrobelli

Ciò che rende affascinante il ciclismo non è solo il gesto atletico dei campioni, le sfide al fulmicotone e l’incedere elegante degli scudieri, ma anche, soprattutto al giorno d’oggi, la ricerca tecnica e scientifica che accompagna lo sport


La ricerca tecnologica che è custodita in una bicicletta di oggi è paragonabile, con il giusto fattore di scala, a quella contenuta in un’auto di Formula 1.

Fin dalla notte dei tempi, dal primo Giro d’Italia, si è ricercata la prestazione affidandosi alla scienza: prima sviluppando nuovi rapporti per le biciclette, poi concentrandosi sull’alimentazione degli atleti, sull’aiuto della sdoganata “bomba” ormai bandita e sull’ottimizzazione perfino dell’abbigliamento.

Tutto questo oggi è scontato, tanto che all’Università di Perugia si è studiata la bicicletta per il record dell’ora, per dare il mezzo migliore e più prestazionale, impegnando ingegneri e ricercatori dedicati al massimo.

La storia della ricerca della velocità da un punto di vista ingegneristico nasce però davvero molto lontano: nel 1913 Marcel Berthet, vincitore della 6 giorni di Bruxelles nel 1921, guidò una strana bicicletta progettata dall’ingegnere aeronautico francese Etienne Bunau-Varilla, la “Velò Torpille”.
Questa bicicletta proiettile permise a Marcel di segnare il record dei 5 km da fermo in 5 minuti e 46 secondi, cioè pedalare ad una velocità media di 52 km/h circa.

Dall’anno successivo questi record non furono più accettati, per non dare troppo spazio alla fantasia di visionari ingeneri del pedale, un po’ come successo con i supercostumoni in neoprene nel nuoto degli ultimi anni, banditi senza possibilità d’appello.

Oggi velocità del genere vengono raggiunte e mantenute anche per un’ora, come dimostra l’attuale record dell’ora di 55.089 km, detenuto dal belga Victor Campenaerts.

Miglioramenti fisici dati dall’evoluzione e ricerca serratissima, chissà fino a dove potremo arrivare?

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