Da San Bartolomeo di Serle uno sguardo immenso sul territorio bresciano
di Alfredo Bonomi





In quel di Serle, il monte sulla cui sommità sorge oggi la chiesa di S. Bartolomeo, costruita dai fedeli nella seconda metà del 1400 sui ruderi di quella precedente ben più grandiosa del monastero di S. Pietro “in monte Orsino”, tende verso il cielo come a chiamare a sintesi per pensieri alti tutto l’altopiano ed i territori circostanti.

Mentre si sale, pensando ai monaci che hanno dimorato nel monastero voluto dal vescovo di Brescia nel 1042, lo sguardo si tuffa in un paesaggio che si mostra sempre più vasto per diventare immenso sulla sommità.
E’ una meraviglia che sollecita ricordi ed emoziona l’animo.

Il monastero benedettino era strategico perché nei secoli del suo splendore controllava le due importanti strade che, da Brescia, andavano verso l’alto lago di Garda ed il Trentino. Era in posizione vigile sulle due arterie fondamentali per l’economia, ma anche per la difesa della città.
La strada Regia detta anche “delle coste”, attraverso il colle di Sant’Eusebio immetteva in Valle Sabbia e quindi nel Trentino, quella del “Pedemonte” attraverso parecchi centri abitati portava a Salò e nell’alto Garda.

Mentre si è accarezzati da una piacevole brezza, lo sguardo viene catturato dal vastissimo orizzonte.

Da questo luogo, che fu di preghiera e di potere,
si coglie moltissimo del territorio bresciano. Con la dizione “territorio” in poca veneta si indicava parte della ubertosa pianura bresciana, dove nobili doviziosi e riottosi controllavano popolazioni e terreni per assicurarsi rendite certe da far pesare negli “affari cittadini”.

Oltre al territorio di pianura, s’impongono le montagne che si trasformano nelle Prealpi e poi nelle Alpi. Qui si “racconta” un’altra storia. La montagna bresciana aveva gente “riservata”, abituata alla gestione dei “beni comuni” nelle Vicinie, che non riconosceva il ruolo dei nobili se non in maniera assai limitata. Era composta da comunità non molto ricche, ma assai fiere.
Da San Bartolomeo (e prima da S. Pietro) si colgono assai bene queste due realtà della terra bresciana, che si compenetrano per comporre una storia densa di fatti.

Qui si incontrano il “paesaggio della storia” e quello attuale della natura.
Quello della storia ci ricorda la grande chiesa, tendente verso l’alto, di S.Pietro, a croce latina, di metri 37 per 26, a tre navate, con una grande cripta sotterranea, con un tiburio simile a quello di altri priorati benedettini, che prolungava la sommità del monte almeno di 20 metri.
Ad essa guardavano i lavoratori sparsi sull’altopiano, gli abitanti dei borghi, i commercianti in transito sulle strade più basse, i pellegrini ed i devoti in cammino per la fede, gli eserciti in transito, le bande degli sbandati dediti alle rapine. Era un “mondo” composito e variegato.

Lasciando il “paesaggio della storia” alla specificità degli studiosi ed agli amanti del sapere, oggi si gusta in modo pieno quello della natura. La ricca e particolare vegetazione di questa zona di “mezza montagna”, il clima splendido che rinfranca il cuore, il posarsi dello sguardo su un “piccolo universo” fatto di paesi, di industrie, di campi lavorati, di territori in continua trasformazione, con un alternarsi di colorazioni diverse, che si susseguono sino alle sagome dei lontani Appennini emiliani, sono una nuova attrattiva.

Molte persone salgono all’altopiano di Serle seguendo le vie percorse nei secoli lontani per impeto di fede, ma anche per le necessità quotidiane.

Alfredo Bonomi

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