Il grande clistere cavallino
di Leretico

Indro Montanelli, nel suo libro “Io e il Duce” ripubblicato di recente ne “Le raccolte del Corriere della Sera” (2018), racconta che...


... fra la primavera e l’estate del ’42 quando le truppe di Hitler avanzavano vittoriosamente su Stalingrado e su Alessandria d’Egitto, Mussolini era ansioso di potersi togliere dal ruolo di comprimario a cui lo aveva relegato l’alleato germanico.
Nella sua testa di calcolatore e tattico, mai vero stratega, soffriva di gravi sensi di inferiorità nei confronti di Hitler. In effetti l’Italia si era dimostrata inferiore ai teutonici, per mezzi e preparazione, ma il Duce del fascismo non poteva accettare questa situazione, quindi semplicemente la negava.

Aspirava alla grandezza in modo, come dire, narcisisticamente ossessivo
.
La teatralità era la cifra del suo potere e, in quel lontano ’42, mentre Rommel acquisiva notorietà per la sua inarrestabile avanzata nel deserto del nord Africa, l’italico dittatore in fez e orbace si rodeva dall’invidia e non vedeva l’ora di potersi mostrare, al popolo e alle potenze straniere, come vincitore.

Ne aveva estremo bisogno, soprattutto per la politica interna: il regime aveva subito un appannamento insopportabile dopo la figuraccia rimediata in Grecia in cui solo l’intervento perentorio dei tedeschi aveva portato il disorganizzatissimo esercito italiano alla vittoria.

Ecco, allora, Mussolini prepararsi, vigoroso e indomito, per entrare vittorioso ad Alessandria d’Egitto, che sarebbe caduta, secondo i suoi calcoli, molto presto.
Aveva deciso di fare un’entrata trionfalissima, come solo lui sapeva fare, alla testa dei militi italici vittoriosi, montando sulla sua eroica cavalla bianca.

Il fatto che la cavalla fosse napoleonicamente bianca aveva la sua imperiale motivazione.
Le gesta di Napoleone in Egitto, infatti, attiravano fortemente il Mussolini, perché colpivano il suo sensibilissimo immaginario ottocentesco.
E poi, conquistare quell’Egitto che Napoleone non era riuscito a sottomettere, stimolava ancor più il suo narcisismo.

Convinto quindi che la parata trionfale in Alessandria d’Egitto ci sarebbe stata molto presto, mandò il fidatissimo barbiere personale Sciarretta in avanscoperta in Africa, insieme ad alcuni bauli contenenti svariate divise, spade e cappelli militari. Tra questi avrebbe scelto l’abbigliamento più adatto all’incipiente evento: il costume per lo spettacolo era un fattore sempre molto importante.

Sciarretta morì durante l’atterraggio dell’aereo con cui aveva sorvolato il mediterraneo fino alla Libia. Il velivolo rovinò sulla pista, prese fuoco e con lui andarono in fumo non solo i bauli con divise e cappelli, ma anche i suoi strumenti del mestiere.
In effetti, non era un semplice barbiere, ma quasi un maestro di cerimonie. Gestiva, infatti, anche la cavalla bianca del Duce, preoccupandosi che non si abbandonasse a inopportuni bisogni fisiologici nei momenti topici in cui il grande dittatore si ergeva impettito davanti alle adunate di popolo adorante.
Tra gli strumenti del mestiere di Sciarretta, perduti nell’incidente, non c’erano dunque solo rasoio e pennello, ma anche un clistere, di dimensioni appropriate, per le preventive evacuazioni equine.

Perduti i bauli, perduto il clistere.
Il pericolo di una figuraccia imperiale incombeva in modo preoccupante. Fu quindi mobilitata la struttura militare perché i tempi per trovare una soluzione erano stringenti e la burocrazia italiana di allora non brillava certo in velocità di azione.
Il regio esercito, in gran segreto, diramò numerosi dispacci cifrati allo scopo di reperirne un nuovo clistere il prima possibile.

Ovviamente il messaggio fu intercettato dagli inglesi che, non potendo credere che in quei frangenti di guerra gli italiani potessero essere interessati ad uno strumento di evacuazione forzata, si lambiccarono per giorni cercando di interpretare quale reale messaggio si celasse dietro il clistere.

Mussolini si recò dunque in Africa, pronto alla cavalcata trionfale. Si tenne a qualche chilometro dal fronte attendendo la vittoria, pronto per la cavalcata trionfale finale. Le sue truppe, insieme a quelle tedesche, furono fermate dagli inglesi di Montgomery ad El Alamein e addio trionfo.
Rommel, pur sapendo della presenza del grande dittatore nella zona delle operazioni belliche, non lo degnò nemmeno di una visita.
Poiché la vittoria sembrava non arrivare, Mussolini tornò in Italia senza l’agognato trofeo militare e forse presentì tutte le sconfitte che sarebbero venute da lì in poi.

Fortuna volle che non ci fosse più bisogno dei servigi di un cavallo bianco, quindi nemmeno del salvifico del clistere.
I tedeschi e gli italiani non conquistarono mai Alessandria d’Egitto, anzi persero la guerra proprio incominciando da quella mancata conquista. Non bastò a Mussolini consolarsi sapendo che neanche Napoleone aveva vinto in Egitto, né che non avesse vinto nemmeno a Waterloo.

Tuttavia se avesse conosciuto il vero motivo per cui l’Imperatore francese perse a Waterloo, si sarebbe davvero un po’ consolato. Si sarebbe sentito solidale con il francese, anche nella sconfitta.
Sembra, infatti, che Napoleone soffrisse di emorroidi e che qualche giorno prima della battaglia di Waterloo, in cui perse definitivamente corona e potere, avesse avuto un attacco di emorroidi tanto forte da costringerlo a muoversi in carrozza.
Non riuscì proprio a montare sul suo bellissimo cavallo bianco, che lo rendeva sempre altissimo, quanto un Imperatore avrebbe dovuto essere.

A causa di questa momentanea invalidità equestre, non potette ispezionare il teatro delle operazioni belliche, cosa che gli costò la successiva sconfitta.
Insomma, né Mussolini né Napoleone riuscirono a montare sul proprio cavallo bianco nel momento in cui avrebbero potuto cambiare il corso della storia.

A volte la storia passa per luoghi inaspettati, altre volte per quei luoghi non ci vuole proprio passare.
A volte la storia prende la via più banale e decide di andare a piedi invece di andare a cavallo.

Leretico

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