Un arrivo inaspettato
di Elda Cortinovis

Don Luigi quel pomeriggio aveva celebrato la messa delle 18.30 un po’ rapidamente, così era certo di cenare per le 20 e di andare a letto presto...


...  La giornata era stata particolarmente calda e faticosa. Era andato a trovare una famiglia il cui ragazzo, introverso e rissoso, altro non sapeva fare che a botte con qualcuno. Per cena la sua perpetua gli aveva preparato un piattino degno di un ospedale e lui si concesse così un peccato di gola, versandosi un goccetto di grappa – per digerire – raccontava a sé stesso.

Nel dormiveglia ripassava le osservazioni che ancora doveva fare ai suoi parrocchiani. Al coro doveva rammentare di provare il giovedì entro le 18, perché la chiesa doveva essere libera tassativamente mezz’ora prima della messa; alle ragazzine di terza media, che venivano al campo estivo in calzoncini corti, che sarebbe stato più opportuno le braghe fino al ginocchio; per quel brigante del Matteo, che nell’anno si era presentato a catechismo una volta sì e due no, una parolina ai genitori andava fatta. Alla perpetua una richiesta lecita di una cena un poco più appetitosa.

Nel vortice dei suoi pensieri e complice il grappino la palpebra calò e Don Luigi piombò in un sonno profondo. A metà notte partì a tutto volume l’Inno alla gioia che lo fece sobbalzare nel letto e provocandogli una tachicardia che quasi scambiò per infarto. Seduto sul letto cercò di mettere a fuoco l’accaduto: la Toccata e fuga di Bach era l’allarme per i ladri che entravano in chiesa, la Moldava di Smetana era per quelli che entravano nella sua casa. Eh sì, perché qualche anno prima aveva fatto installare questi allarmi un poco rudimentali, dopo che più volte dei balordi erano entrati dalla sacrestia per rubare la questua e gli oggetti d’argento utilizzati per la celebrazione. Non aveva voluto campanelli e suonerie; un artigiano del paese, grande devoto, si era ingegnato per collegare dei mangianastri con dei bei pezzi di musica classica che don Luigi adorava. Non canti liturgici, perché temeva nel sonno di scambiarli per una messa solenne celebrata nelle braccia di Morfeo.

Questi allarmi erano già scattati più volte per alcuni farabutti che avevano tentato di entrare, ma l’Inno alla gioia, quello mai! In un secondo il sangue gli si gelò nelle vene. Inforcò gli occhiali, si alzò, infilò i pantaloni e le scarpe e si precipitò giù dalle scale verso l’uscita secondaria della sacrestia. L’Inno intanto continuava impetuoso, accompagnandolo per tutto il percorso fino al portone.

Lì, oramai da alcuni anni, aveva fatta installare una culla rotante, dopo che un bimbo, in un paese più a valle, abbandonato al freddo non ce l’aveva fatta. Non importava che ora non si usassero più, al suo paesino non sarebbe mancata. Così si era andato a vedere la storica ruota degli Esposti a Padova e l’aveva fatta costruire simile per la sua parrocchia. Abbassò la leva e come un vassoio la culla girò. Non poteva credere ai suoi occhi. Si sarebbe aspettato di vedere un bimbo neonato avvolto in una copertina multicolore, magari accompagnato da un bigliettino in cui la mamma diceva “ti vorrò sempre bene”, e già questo lo avrebbe sorpreso non poco. Invece, nella culla era accoccolato un bimbo di almeno due anni, con indosso un pantaloncino lercio e una magliettina stracciata. Le gambe bianche e magre avevano ecchimosi evidenti e la manina con alcune bruciature, copriva completamente il viso.

Don Luigi alla vista di questa creatura rimase impietrito, poi, ripresosi, aprì il portone e si guardò intorno sperando di vedere qualcuno darsi alla fuga, ma il suo tempo di reazione era stato tale, che ormai il silenzio della notte avvolgeva tutta la via. Richiuse l’entrata e prese il pargolo tra le braccia. Non c’era altro tempo da perdere, bisognava avvisare le autorità, chiamare il medico, insomma svegliare la perpetua per avere il suo aiuto.

Nel tempo che tutti accorsero, don Luigi nella sua goffaggine cercava di consolare il bambino che nel frattempo si era svegliato e aveva iniziato a strillare disperato. Con mezze frasi, un po’ ad alta voce un po’ tra sé e sé, si chiedeva chi poteva averlo lasciato, quale fosse la sua storia, da dove venisse. Quale bestia aveva osato conciarlo in quello stato. Affidò il bambino alla perpetua, non per liberarsi della creatura, ma per la fretta che aveva di buttarsi a capofitto nella ricerca di quei delinquenti colpevoli di tale cattiveria.

Salì sulla sua motocicletta e si avviò in fretta e furia verso il paese che stava più a valle, certo di trovare qualche indizio. Intanto gli montava nel petto una rabbia irrefrenabile e si rese conto che se avesse avuto sotto mano quel o quei farabutti li avrebbe presi a bastonate e avrebbe fatto fare loro la via crucis in ginocchio sui ceci, avanti e indietro. Vagò di casa in casa nella speranza di vedere una luce accesa o qualcosa di sospetto; intanto pensava e ripensava a tutte le famiglie del suo paese. Le conosceva bene, ma lo stesso le fece passare ad una ad una per capire se gli era sfuggito qualcosa. Chissà cosa pensava di trovare, non sapeva neppure bene cosa cercare. Ad un certo punto si fermò e dovette tirare un lungo sospiro per ricominciare a ragionare. Si spaventò della sua stessa rabbia e rifletté sul fatto che aver portato il bambino in quella culla era già stato un gesto incredibile, chiunque l’avesse fatto.

Si vergognò del sentimento di collera che lo aveva accecato; non aveva invece pensato che la famiglia di questo bambino doveva essere disperata, chissà in che condizioni di miseria viveva. Pensò che forse, era stata la madre a portarlo per proteggerlo e per salvarlo da mani pesanti e senza scrupoli. Realizzò infine che era dovere di altri cercare il colpevole, a lui spettava ben altro compito.

Alla messa delle 18.30 durante il sermone si rivolse ai fedeli invitando tutti a collaborare con le autorità, senza omertà e rivolgendosi a chi aveva portato quel bambino disse:

“La persona che ha lasciato questo bambino nella culla gli ha salvato la vita e se questa persona mi vorrà parlare, prometto che nessun altro verrà a saperlo. Se sei sua madre, non disperare io ti aiuterò, o meglio, questa comunità ti accoglierà, affinché tu possa stare con tuo figlio”.

Poi rivolto nuovamente a tutta la platea aggiunse:

“Insieme riusciremo a fermare chi ha picchiato selvaggiamente questo bambino, affinché la cosa non si ripeta mai più. Ora il bambino è accolto dalle nostre suore in attesa di trovare chi l’ha abbandonato. Non parla, noi lo abbiamo chiamato Rocco poiché ieri era san Rocco”.

La messa era finita e a don Luigi ora non rimaneva che fare pace con sé stesso per tutta la rabbia provata, anche se, considerata la sua testardaggine, in quella faccenda sarebbe senza dubbio andato a fondo.

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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.


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