Il Covid in grembo
di Sabrina Angiolilli

“Oh mio Dio, ma cosa è successo? Sono di nuovo dentro il grembo materno? Ma come è possibile?”


Sono adulta: ho cinquant’anni, molto lontano dalla fase fetale, ormai già piena di conoscenze acquisite, di esperienza di vita, perché questo ritorno al passato e soprattutto come faccio ad uscire da qui? Ieri, proprio ieri, ero in aeroporto in attesa del mio solito volo, uno dei tanti che prendo ogni mese, nella mia bolla impermeabile a qualsiasi stimolo esterno, ma nello stesso tempo fluttuante, tra il rumore delle ruote dei tanti trolley che viaggiano come mine vaganti quasi alimentate da tutto il peso della vita che sono costretti a contenere, e il turbinio di emozioni che ogni volta una partenza porta con sé.
Il desiderio di provare ad andare al di là dei propri limiti, sicuri che oltre il recinto c’è ancora tanto da esplorare, e la paura che una volta superato quel recinto tutto, ma proprio tutto, potrebbe assumere un significato diverso. Come può essere che in un attimo qualcuno o qualcosa, mi abbia spinto oltre il recinto senza che io me ne accorgessi e, soprattutto, come riuscirò a vedere di nuovo la luce?

Aspetta un attimo, in realtà di luce ne vedo già molta, sfumature che si riflettono sul muro della mia cucina, raggi di sole che emanano calore e vivificano il rosa, il rosso, il bianco, l’azzurro e il lilla delle mie azalee.
Quand’ero dentro la pancia della mamma c’era molto più buio, ma non di quello che incute paura, era un buio caldo, accogliente, pieno di colore.

Mi muovo con fatica, a volte mi manca il respiro, c’è troppa aria, sono troppo pesante e soprattutto quanto spazio, troppo spazio, a cosa mi serve tutto questo spazio?
Nel grembo riuscivo a fluttuare leggero, ogni tanto una capriola o un calcio alla pancia della mamma – tanto per divertirmi – oppure un singhiozzo per movimentare la giornata… mi sentivo bene. In questo nuovo grembo, invece, il cordone ombelicale è tecnologico, arriva da più parti per informarci, nutrirci, per metterci in comunicazione, ma con un’onda travolgente di terrore che ipnotizza, blocca e copre completamente il battito del cuore, quel suono ritmico e così rassicurante. Mi sembra tutto diverso, incomprensibile.
Forse perché il mondo si è trasformato e, nella sua evoluzione, l’homo sapiens-sapiens ha programmato altri modi per nascere.

Oddio, mi sembrano un po’ più articolati dei precedenti, però sicuramente più consoni alla modernità.
L’homo sapiens deve essere dotato per nascita di una capacità organizzativa e produttiva diversa, il nascere cosi poco autonomi, dover dipendere dalla mamma per ogni cosa, dover imparare tutto attraverso l’esperienza, è un processo troppo lungo in un mondo come questo, dove il tempo è diventato variabile fondamentale e la sua concezione lineare è un termometro costante del nostro valore.

Sì, ora ho capito, penso proprio di aver capito. Però, aspetta, se io devo nascere già cosi completo, autonomo e strutturato, perché il modo che mi aspetta fuori si sta modificando, assecondando i suoi cicli di trasformazione con i propri ritmi, senza aspettative e spettatori?
Quello che vedo è una natura incontaminata, vedo alberi che crescono, prati di margherite, fiori di tarassaco, narcisi, ortiche, una primavera che esplode e si riappropria dei suoi spazi, prosperando secondo un ordine e un’armonia che ha poco di umano.
È quasi un caos, ma che produce inaspettati guizzi di colore e inebrianti armonie di profumi che scaldano profondamente il cuore. Ma sopratutto quello che riesco a percepire da qui è che, lì fuori, non c’è nessuna vibrazione di paura, rabbia e dolore, quelle che invece sento dentro di me, in fondo a ogni mia cellula.

Forse, allora, sono tornata nel grembo per purificarmi da questo virus, da questa paura, per tornare a percepire, sentire e amare in profondità. Oppure il virus si è insinuato pian piano dentro il grembo e ora diventerà parte di me e di questa mia nuova vita.
Sono davvero molto confuso. Pensare che un virus cosi letale, che blocca il respiro portando alla morte, possa nascere e crescere dentro il grembo di Madre Terra mi sembra davvero impossibile.
Forse obbligarmi a tornare all’origine di quel silenzio protettivo mi permetterà di cancellare ogni atteggiamento malsano, ogni griglia mentale asfissiante, e ripulire il mio cuore, ascoltare il mio respiro e nascere a nuova vita.

Madre Terra mi aveva avvertito: “Guarda che, se non cambi atteggiamento, se non mi ascolti, se non modifichi i tuoi comportamenti sarò costretta a una punizione molto restrittiva. Ti vieterò il contatto con i tuoi simili! Aggiungerò l’obbligo di una mascherina cosi non potranno vedere il tuo sorriso, non capiranno bene le tue parole! Ti toglierò la libertà, e dovrò farlo usando la paura perché a quella sei abituata.
Dovrò costringerti a riflettere, dovrò condurti in un limbo di incertezze dove finalmente ti renderai conto che la strada da seguire non è soltanto una, ma che ci sono mille direzioni e panorami di cui godere; che la vita e le cose che acquisirai durante il tuo cammino, anche se dovessi cambiare per mille volte direzione, sono doni immensi che ti vengono offerti per mettere alla luce le mille sfaccettature del tuo esistere, proprio come si fa con un diamante grezzo, al fine di renderlo pura luce”.

In realtà, la punizione è durata molto più a lungo del previsto, forse gli atteggiamenti da scardinare erano davvero ben radicati e nutriti, ma alla fine ogni giorno che passava in maniera uguale dentro le mie quattro mura mi portava sempre più in profondità.
Cominciava a crearsi quel percorso, quel famoso sentiero di cui c’era un antico ricordo, cominciavo a vedere sfumature mai viste, a sentire crescere in me capacità a cui non avevo dato tempo né spazio.
Gli occhi si fermavano ad osservare con una tale intensità anche le cose più minuscole, quasi facendomi perdere la dimensione materica. E poi il respiro, quel famoso respiro, che era stato l’inizio del mio sopravvivere, si faceva sempre più lento, profondo, quasi un’onda che partendo dalle narici faceva vibrare l’intero corpo, arrivando dove nemmeno sapevo di esistere. Cominciavo a sentirmi pronta, a percepire che era arrivato il momento di attraversare quel tunnel freddo e buio per tornare finalmente a vivere e mettere in pratica tutto ciò che ormai sentivo essere parte di me, ricominciando questa volta dal gioco per esplorare il mondo.

Avevo anche molta paura: cosa succede se per inerzia finisco per mettere in scena la stessa vita di sempre? Come farò a trasformare la sceneggiatura della mia vita? Mi sembra di aver capito tante cose, di aver riconosciuto le priorità, di aver bisogno di amare ed essere amata, ma riuscirò davvero a non farmi inquinare di nuovo quando sarò li fuori nel mondo?

Penso che non sia più il tempo per le domande, ora bisogna solo uscire, agire e provare a vedere cosa succede.
È finita la vita virtuale, inizia la sola vita possibile ora: quella vera.

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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.

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