Consolare gli afflitti
di Pseudosofos

Sono venuto a conoscenza di una storia di vita quotidiana che merita un racconto e una riflessione. È una storia riguardante l’importanza della consolazione nella sofferenza e coloro che hanno il desiderio, ma non il tatto, per esprimerla


Una mattina della scorsa settimana un’amica (che qui sarà Jenna) mi contatta perché intende farmi leggere una missiva e chiedermi un parere in merito.
Quest'amica ha subìto un’importante perdita durante il lockdown: sua madre è morta di Covid-19. Ovviamente, le offro la mia disponibilità, data l’amicizia. La invito per un caffè e le dico di portare con sé la lettera.

Apro la busta
in cui all’interno si trova una lettera scritta a mano, in stampato. È indirizzata a Jenna, a suo padre e ai suoi fratelli e sorelle. È scritta da una signora che dichiara di essere una volontaria, a disposizione di chi si trova nel dolore e nella sofferenza.
Nelle prime righe di testo afferma di esser venuta a conoscenza della grave perdita di Jenna e della sua famiglia leggendo un necrologio sul giornale.
Data la situazione e il molto tempo a sua disposizione, ha quindi deciso di offrire loro qualche parola di consolazione.

Tuttavia, le parole di questa volontaria non sono sue.
Infatti – annota – solo le parole che vengono da Dio hanno il potere di alleviare chi si trova afflitto.
Di questo lei stessa è testimone: si trovava nella stessa condizione di sofferenza di Jenna, quando decise di cominciare a leggere la Bibbia, seguendo le indicazioni di una setta religiosa. In questo modo ha trovato sollievo al dolore della sua perdita.

Infatti, continua la volontaria nel suo scritto
, sebbene ciascuno di noi non voglia affatto soffrire, la Bibbia insegna che dopo la morte ci attende il Paradiso, grazie alla resurrezione di Gesù, il Figlio di Dio crocifisso che, con la sua morte, ha ridotto al nulla la morte e il suo potere.
Per inciso una annotazione: di per sé chi ha letto almeno una volta con attenzione i quattro Vangeli sa che per Gesù non esiste solo la vita eterna paradisiaca, ma anche quella infernale, là dove “sarà pianto e stridore di denti”.

Il seguito della lettera continua con citazioni bibliche
e con commenti personali della scrivente.
Fino a quando l’apparentemente accorata testimonianza giunge al punto cruciale: suggerire a Jenna e alla sua famiglia di visitare il sito internet della setta religiosa di cui lei è adepta, per trovare risposta e soluzione al dolore per la morte della madre. Al termine, la scrivente lascia il suo indirizzo postale e il numero di cellulare in segno di ulteriore disponibilità.

A lettura conclusa, esclamai sorridendo:
“La vita quotidiana è piena di sorprese, non credi?”.
Poi, lì per lì, dissi a Jenna di trovare di cattivo gusto che una volontaria di una setta religiosa approfittasse del suo dolore per fare maldestro apostolato.
Nonché, mi suonava abbastanza macabro e inquietante cercare fra i necrologi le proprie occasioni di proselitismo. Jenna dichiarò di concordare con i miei giudizi e di sentirsi rassicurata da essi.

Mi disse inoltre che avrebbe voluto rispondere a tono a questa donna indiscreta.
Ovviamente, le suggerii di non contattarla direttamente, né al telefono, né per lettera, sebbene, mossa dall’ira e dalla delusione, sentisse il desiderio di farlo.
Questa volontaria, infatti, le aveva scritto esattamente per ottenere risposta. Ciò nonostante, fui io a chiedere a Jenna il permesso di scrivere una riflessione intorno a quanto accaduto. Permesso da lei accordatomi e, quindi, eccoci qua.

Chissà quante volte ci è capitato di sentir dire di un certo perverso meccanismo di proselitismo, adottato da diverse sette religiose, per il quale alcuni apostoli adescano delle persone fragili che sono nell’afflizione, convincendole ad aderire al loro credo, in quanto presentato come balsamo per lenire le loro pene. Il che, quindi, non dovrebbe destare troppa meraviglia.

In questo caso, ciò che qui mi colpisce maggiormente
non è tanto il contenuto espresso nella lettera, bensì la modalità con cui è redatta, ovvero la scrittura a mano.
Di per sé, la lettera scritta di proprio pugno rappresenta un modo intimo della comunicazione, che si adotta all’interno di relazioni affettive ed amicali. “Amici di penna”, sono coloro che, pur a distanza, si sentono intimi nella relazione. Un simile tratto d’intimità, fra l’altro, diventa ancora più spiccato proprio nell’era dei social media, quando allo scrivere su uno smartphone non si assegna spesso un’importanza decisiva.

Comunque sia, concedendo a questa volontaria la buona fede della sua convinzione religiosa e del suo intento consolatorio, ancora una volta appare chiara una certa “ignoranza” del senso della comunicazione umana in chi si dichiara fedele a certe credenze religiose.
Di più, molto spesso una certa cattiva fede deteriora i tratti umani insiti nella comunicazione.

La sofferenza e il dolore umani sono realtà importanti e serie: vanno trattate con delicatezza, con il giusto tatto spirituale, per dir così.
Utilizzare con leggerezza la parola “Dio” o le “parole di Dio”, che andrebbero percepite sempre con un certo timore e tremore da chi le pronuncia, per tentare di adescare al proprio credo persone che soffrono è un’arte oscura della comunicazione umana. Men che meno questo modo di agire il linguaggio si addice a chi si dichiara credente in Gesù Cristo, sebbene non da cristiano cattolico.

Tant’è vero che un buon criterio razionale
per distinguere quando una fede è buona o meno, è considerare in che modo perfezioni o deteriori il nostro naturale tatto in umanità.
Se dovessimo constatare che un credo ci porta ad essere meno umani di quanto siamo naturalmente, tanto vale abbandonarlo, anche se questo significasse soffrire. Infondo, non tutte le sofferenze sono negative di per sé. Ce ne sono alcune che, sopportate, aiutano a crescere, come ognuno di noi sa bene.

Perciò, se anche tu che leggi credi di poter essere un buon volontario per alleviare, in nome della tua fede, le sofferenze di qualcuno, cerca anzitutto di concentrarti sul dolore dei tuoi familiari ed amici e non su quello degli sconosciuti.
Poi, se i tuoi cari non volessero aderire a ciò che credi, tu continua a volere il loro bene lo stesso, offrendo comunque il tuo amore, con tatto e delicatezza umane, senza andare a cercare nei necrologi potenziali nuovi afflitti.

Se, infine, ti sembrerà di non ottenere alcun risultato, rilassati e pensa che tu non hai alcun potere di alleviare la sofferenza in nome del Dio in cui ti sembra di credere, a meno che non sia Egli stesso a concedertelo in determinate circostanze, al di là del tuo volere.
I suoi sentieri, infatti, non sono i tuoi sentieri. Le sue vie, non sono le tue vie, oracolo del Signore.


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