I tempi d'oro del bar Acli
di John Comini

Quand’ero bambino ed abitavo nel “grattacielo”, camminando sul ponte che passa sopra il Naviglio e sul Chiese (ah, il Chiese!) sentivo il juke-box del bar Acli che sparava a tutto volume la canzone di Caterina Caselli “Nessuno mi può giudicare”


Seduti ai tavolini, all’ombra dei secolari ippocastani (di cui noi bambini raccoglievamo le castagne “genge” perché pareva che togliessero i dolori), i giovanotti fischiavano alle ragazze di passaggio: alcune acceleravano imbarazzate e rosse in faccia, altre si voltavano verso quei nostrani latin lover come per dire “fischia pure, che ti faccio suonare io l’Aida.”.

Spesso mi dissetavo alla fontana con sopra l’effigie di Garibaldi, dove si legge: "Garibaldi sul ponte antico rotto dagli austriaci ed in un sol giorno dal popolo di Gavardo ristabilito mosse rapido alla vittoria nel 17 giugno 1859." Io, a cavalcioni, bevevo alla garibaldina, ignaro della tradizione che dice: chi beve l’acqua di Garibaldi non si allontanerà più dal paese.

A scuola ho poi saputo che, durante la II Guerra d’indipendenza, gli austriaci in ritirata il 14 giugno 1859 fecero saltare il duplice ponte. Garibaldi incitò i patrioti gavardesi affinché lo riparassero, e già il 17 giugno l’Eroe dei due mondi e i suoi Cacciatori delle Alpi poterono riprendere l’avanzata verso il Trentino, acclamati dai gavardesi. Altri tempi!

Certe sere andavo alle Acli a vedere le partite alla televisione in bianco e nero. Avevo i soldi giusti per pagarmi un bel gelato, panna e cioccolato. Fissavo la tele ed ero felice, con la mia camicia bianca al cioccolato. Assistevo alle partite dell’Inter nelle Coppe, ed ero contento se vinceva (perché era una squadra italiana: altri tempi…).
Oltre il bar c’era un grande salone, in fondo troneggiava un biliardo.

Come ha scritto il dottor Marzollo nel piccolo gioiello letterario “L’isolo”: “Una sala ben illuminata, tutta lustra di pavimento nuovo e di pareti a lucido; una sala alla quale si accede dopo aver attraversato un bar che, fra televisione e giradischi gigante, consente a malapena di apprezzare qualche imprecazione dei giocatori di carte…Si tratta d’una sala destinata ai banchetti, nella quale, finita la cerimonia in chiesa, sposi, testimoni, parentado, amici e conoscenti si radunano a mensa fino a notte…

Gli sposi uscivano dal portone della chiesa e si avviavano a piedi per quelle poche decine di metri che conducevano alla terrazza davanti al bar: qui si fermavano per la fotografia e poi, a gruppi rumorosi, gli invitati scomparivano nella grande sala nella quale i tavoli, ben disposti a ferro di cavallo, ospitavano quasi sempre oltre un centinaio di commensali.”

Il sabato sera mi addormentavo sentendo i canti dei partecipanti agli sposalizi. Mi piaceva ascoltarli, c’erano certi acuti fatti da donne degne di cantare nell’Opera Lirica. Mi dava un senso, come dire, di comunità, di voglia di vivere.
Ricordo le nozze di mia sorella Rita con il caro Sergio Franceschetti, e quelle di mio fratello Franco con Piera Nicolini. Terminata la cerimonia sacra nella chiesa parrocchiale, dopo il classico lancio dei confetti (che io e gli altri bambini raccoglievamo per terra e mangiavamo: tutti anticorpi!) gli sposi camminavano in mezzo alla folla plaudente fino al vicino ristorante.

La gente gridava “W gli sposi!” e le auto di passaggio strombazzavano in segno di giubilo. Come tradizione, c’erano pranzo e cena. Durante il pomeriggio, con le giacche a spalla e la cravatta sciolta, gli invitati sciamavano nei bar, in attesa della cena. Con i miei familiari abbiamo sceso le scale e ci siamo recati al verde Isolo, in lieta compagnia. Ricordo un filmino, testimonianza supertecnologica. Altri tempi…

La sala era utilizzata anche per banchetti di battesimo, cresima, comunione, per cene di coscritti, per anniversari delle associazioni d’arma e sportive…Sotto la sala, attraverso una scala, si potevano raggiungere la cucina, dove lavoravano bravissime cuoche ed inservienti.

Cito alcune persone che si sono avvicendate in cucina, alla sala e al bar (e mi scuso se non le ricordo tutte): Lucia Grumi (mamma di Domenica Re), Paola Grumi (mamma di Bruno Massolini), Danilo Silvestri (padre di Efrem), Caterina Grazioli (mamma del leggendario Walter), Tebaldini Nadia e Ilde. Ricordo il signor Pedrotti, perfetto cameriere. Della bella e dolce amica Irma Gorni hanno lavorato: i nonni Emilia Cortini e Angelo Filippini, le zie Speria, Alma e la mamma Osanna. Come cuoco c’è stato anche dall’81 all’87 Carlo Bresciani, il famoso chef Charlie.

L’amico Antonio Abastanotti racconta che prima della guerra, oltre al bar c’era il Cinema Italia (ecco il motivo della particolare architettura del locale). Fra un tempo e l’altro venivano proiettati documentari di propaganda fascista. Alcune volte la proiezione dei film veniva fermata dai militi, che controllavano se nella sala vi fossero renitenti al servizio militare.

Nel dopoguerra la sala fu acquistata dalla parrocchia grazie ad una grossa offerta di Antonio Ferretti, celebre inventore del Lanital (una fibra autarchica tratta dalla caseina, la proteina del latte) nonché fratello di monsignor Luigi. Chissà quante volte il nostro Monsignore sarà andato a ‘batter cassa’ dal generoso fratello… La sala venne messa a disposizione dei lavoratori cattolici delle A.C.L.I.

Ho partecipato molte volte alle conferenze che vi si tenevano. Erano super affollate, la gente partecipava, non ancora attratta dal potere incantatore della televisione. L’Avis ha organizzato molte conferenze sulla salute e sui temi sociali, grazie all’entusiasmo del mitico Renato Paganelli, di Cesare Goffi e di altre belle persone. A volte nella sala si svolgevano mostre d’arte (ricordo una del mio grande amico Deni Giustacchini).

Al piano sotto il salone, c’erano le stanze adibite ad uffici per la consulenza per il lavoro e per le pensioni, nelle quali si sono impegnati Anacleto Abastanotti, suo cognato Luigi Taraborelli ed Orsolina Avanzi, persone che hanno lavorato con dedizione e grande generosità.
Il bar Acli è poi passato alla gestione dei simpatici fratelli Bresciani Francesco e Gabriele ed è diventato Bar Caligola, poi è passato per varie gestioni. Ma ancora adesso, ogni volta che ci passo davanti, nella mia mente si muovono tanti ricordi. E guardando in fondo vedo l’Isolo…ma questa è un’altra storia.

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo,

maestro John

Nelle foto:
1) I coscritti del ’42 alla visita
2) La famiglia Filippini
3) Amedeo Re e Lucia Grumi
4) Le nozze di mia sorella Rita con Sergio (dietro si vede il signor Pedrotti)

Grazie ad Antonio Abastanotti per le preziose informazioni tratte dai suoi libri “La cassapanca dell’Adele” ed “Il ciliegio proibito” (liberedizioni)

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