Portami a ballare
di John Comini

Venerdì 14 è San Valentino, la festa degli innamorati. L’amore nasce anche in tempi bui come questi, con la minaccia di epidemie, di crisi economiche, di tensioni sociali


La vita è una ruota continua, una giostra dell’amore, che non smetterà mai di girare finché due persone si vogliono bene. Come mia mamma e mio papà, che sono stati per me l’esempio dell’amore vero.

Tutt’e due vivevano a Salò, in famiglie con gravi problemi economici.

Mio papà si chiamava Luigi, suo padre Angelo era un bravo cementista ma non era altrettanto bravo a farsi pagare. E allora mio papà, che aveva fatto la 3^ elementare, un giorno è uscito da scuola ed ha incontrato uno zio che l’ha portato a lavorare nell’ortaglia.

Non era un lavoro semplice, e doveva dormire lontano da casa. Ma siccome i debiti aumentavano, e mia nonna era stata imbrogliata dai fratelli sull’eredità, mio padre è partito soldato volontario per l’Africa, in Abissinia. È rimasto per tre anni e due mesi, facendo enormi sacrifici, dormendo sotto una tenda, ammalandosi di malaria e inviando regolarmente il proprio stipendio a casa, fino a quando si sono estinti i debiti.
 
Mia mamma a 16 anni ha perso il padre Bergomi Secondo (che lavorava alla società elettrica). Era figlia della Francesca che per mantenere la famiglia si recava al lago con la sua carriola e la “scagna” per lavare i panni dei benestanti salodiani.

Abitava in Fossa, dove un tempo c’era il Teatro Vecchio. Mia nonna ha avuto una vita così difficile che diceva sempre alle figlie: “Quand che möre fì festa, mitì sö polenta, soprèsa e spinase, mangì e balì e disì a töcc: la nosa mama la ghà finit de patì.”

Mia mamma lavorava come addetta all’uccelliera presso il famoso dottor Antonio Duse. Da ragazza era stata scelta per andare a Roma a fare i giochi ginnici dinanzi al Duce.
 
Quando andava a trovare la sorella Giulia in vicolo Teatro (detto Tresanda Storta) lei salutava mio nonno Angelo con un bel sorriso e lui pensava: “La nares bé per el mé Luigi”.

Quando mio papà è tornato a casa si è innamorato di mia mamma, che come tutte le mamme era bellissima: sembrava un’attrice del cinema. Provo un certo pudore al pensiero di loro due innamorati, tra i vicoli di Salò, con la luna che si specchia nel lago… Si sono sposati il 22 maggio del 1940, ed era il primo matrimonio a Salò celebrato da mons. Ferretti.
Quando sono andati in viaggio di nozze a Venezia, vedevano già partire i treni pieni di soldati, e la guerra stava arrivando… Mio papà viene richiamato per la campagna di Francia, poi spedito in Albania e infine in Grecia.

Ma dopo l’8 settembre è stato internato in un campo di prigionia in Polonia. E quando sono arrivati i russi ed hanno liberato il campo, mio papà si è fatto tutta la strada dalla Polonia all’Italia a piedi. Ma erano passati molti giorni, e non era ancora arrivato a casa. E allora tutti i giorni mia nonna Francesca lo aspettava alla fermata del tram e lo aspettava, lo aspettava… e nessuno aveva il coraggio di dirle niente, che forse era disperso.

Finché un giorno è sceso dal tram uno così magro, ma così magro, ma l’ha riconosciuto subito che era il suo Luigi, e allora mia nonna ha attraversato la Fossa camminando verso casa, e non aveva parole, e il cuore le tremava dall’emozione, e mio papà dietro, e camminavano senza dirsi niente.

E ancora adesso mi scoppia il cuore e non riesco a immaginare il volo di mia mamma verso il suo Luigi.

Ma poi ci sono state gioie e serenità, tanto lavoro e la nascita dei miei fratelli. Ma anche un dolore indicibile, quando la mia sorellina Mariangela si è ammalata. Hanno chiamato il dottore, ma era alle prime armi ed ha sbagliato la diagnosi.

E quando Mariangela è morta all’Ospedale di Salò, mio papà l’ha portata a casa in braccio, e sembrava che passasse un angelo. Mia mamma sembrava impazzire dal dolore, gridava “La me pitìna, la me pitìna!”… Stava tutto il giorno nella camera della mia sorellina, non mangiava mai, piangeva e basta.

Alla mia sorellina hanno tagliato le trecce bionde, e la mia mamma le teneva in mano come un rosario.  Al prete che cercava di consolarla, mia mamma diceva “Perché el Signur el fa mörer i pitì? Perché el m’ha mia töt sé mé?”.

Mia mamma mi ha sempre detto che è stata salvata dalla fede. E quando sono nato io ha ripreso a vivere.

“Portami a ballare uno di quei balli antichi
che nessuno sa fare più…

Sciogli i tuoi capelli lasciali volare
lasciali girare forte intorno a noi.

Lasciati guardare sei così bella che
non riesco più a parlare…

Parlami di te di quello che facevi
se era proprio questa la vita che volevi

di come ti vestivi di come ti pettinavi
se avevo un posto già in fondo ai tuoi pensieri.”


(Luca Barbarossa)

Ringrazio il Signore per avermi donato mio papà e mia mamma. Due persone innamorate, che hanno vissuto sempre per la famiglia. Erano talmente buone che non mi hanno mai dato la più piccola sberla.

Non mi facevano prediche, mai, ma mi hanno trasmesso una testimonianza di vita. Mia mamma su un quadernetto aveva scritto “I figli non ci hanno chiesto di nascere.” Ricordo con nostalgia la piccola cucina, dove mio papà aiutava mia mamma grattugiando il formaggio o girando la polenta. La sala, dove mangiavamo in 10, con i nonni e la zia Giulia.

Nel corridoio era appeso un quadretto con la frase di San Paolo “Omnia munda mundis”, tutto è puro per i puri. Tutta la casa era illuminata dal sorriso di mia mamma, che aveva le mani per accarezzare e per pregare, per lavare, stirare, far da mangiare, ma sempre per amore, solo per amore.

Era un mondo pieno di luce, di bellezza, profumato dalla fede. I miei genitori hanno vissuto i tempi della povertà della guerra, della lontananza, della tristezza. Ma non hanno mai perso la speranza, e il coraggio di vivere, di andare avanti.
 
Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
Maestro John

Nelle foto:
- I miei genitori
- Con (da sinistra) Dino, Mariangela, Rita e Franco nel 1948
- Mia mamma con mio fratello Franco
- La famiglia riunita in sala con nonni, zii, cugini, fratelli e sorelle (io sono il bambino a destra)


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