Foibe, un genocidio da non dimenticare
di Franco Tarsi

Un excursus storico sulla tragedia degli italiani e dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre nel secondo dopoguerra. Lunedì 10 febbraio, in occasione del Giorno del Ricordo, a Nuvolento verrà proiettato “Red Land (Rosso D’Istria)”



A Gorizia i sindaci delle due città, Gorizia in territorio italiano e Nova Gorica in territorio sloveno, svitano i bulloni del muro che divideva il piazzale dell’austroungarica Ferrovia Transalpina e di fatto i due abitati, avviandone lo smantellamento.

Era un muretto di cemento alto mezzo metro, sormontato da un reticolato di ferro alto un metro e mezzo. In effetti più un simbolo che un muro vero e proprio, costruito nel 1947 per marcare il confine stabilito dal Trattato di pace di Parigi, ma è significativo che fosse, a quanto si è detto, l’ultimo muro interno rimasto al mondo.

Il 30 aprile 2004 si tiene la cerimonia ufficiale, il giorno dopo, 1° maggio, la Slovenia entra nell’Unione Europea e il 21 dicembre 2007 negli accordi di Schengen. Da quest’ultima data la libera circolazione fra le due città, inizialmente limitata al piazzale della stazione, si estende all’intero territorio dei due Stati, Italia e Slovenia.

Adesso, con l’ingresso nell’Unione Europea anche della Croazia (1° luglio 2013) siamo tutti amici e buoni vicini. Ma non è sempre stato così, anzi. La buona vicinanza, andata avanti per secoli fra i popoli di lingua romanza e di lingua slava, cessa con le politiche austroungariche di contenimento delle spinte irredentiste italiane, soprattutto dopo la perdita del Veneto da parte dell’Impero nella Terza Guerra d’Indipendenza, nel 1866.

Politiche brutali, che si esprimono con esodi forzati delle popolazioni giuliane, deportazioni di massa, reclusioni in campi di concentramento (uno dei quali, per curiosità, a Braunau am Inn, città natale di Hitler), immigrazione di elementi slavi e germanici per indebolire la presenza italiana, addirittura pogrom (a Innsbruck nel 1900) contro i commercianti e gli studenti italiani. Sì, pogrom: vi ricordano qualcosa?

Poi, con la vittoria nella Grande Guerra e il passaggio all’Italia di parte della Slovenia, nonché dell’Istria, di Trieste, di Zara e di molte isole del litorale dalmata (Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920), il neonato regime fascista attua una corrispondente brutale politica di assimilazione e di italianizzazione, cioè di spersonalizzazione delle popolazioni slave entrate a far parte del territorio italiano.

A suo modo una specie di ‘pulizia etnica’. Nella seconda guerra mondiale l’intervento dell’Italia in Jugoslavia (6 aprile 1941) al fianco delle forze naziste, aumenta l’odio per gli italiani, che si concretizza orribilmente negli episodi di ’infoibamento’.

Il termine viene dal giuliano "foiba", derivato a sua volta dal latino fòvea, cioè "fossa", che indica quelle profonde e a volte strettissime fenditure nei terreni carsici, lavorati dalle acque nel corso di secoli e millenni.

Questi pozzi, anche di vecchie miniere (tristemente famosa la foiba di Basovizza, vicino a Trieste, ora monumento nazionale: forse duemila morti secondo un calcolo volumetrico), vengono usati dai partigiani jugoslavi per gettare i corpi degli italiani, uccisi ma a volte ancora vivi, per liberarsene senza nemmeno dover scavare per nasconderli, come fossero delle comode ‘discariche’.

Questi eccidi assumono nel tempo, sia prima che dopo la fine della guerra, le dimensioni di un vero e proprio genocidio. Si calcola che 250-350 mila persone siano state scacciate dalle loro terre, si badi bene, italiani in buona parte autoctoni, e che ne siano state uccise undicimila, secondo altri almeno sedicimila, parte militari parte civili, di cui sei-settemila o più, fra scomparsi e corpi ritrovati, ‘infoibate’. Un calcolo preciso è impossibile.

Sono italiani a lungo dimenticati per ragioni soprattutto politiche, ma comunque ragioni di convenienza. Per esempio per non turbare il cosiddetto ‘strappo’ del Presidente Tito dall’Unione Sovietica, che prima, con la Jugoslavia nell’orbita di Mosca, avevamo alle porte, ma anche per non macchiare l’immagine del movimento partigiano internazionale.

Tito (o Maresciallo Tito) era il nome di battaglia, durante la lotta partigiana, di Josip Broz, comandante della Resistenza e, dopo la guerra, Presidente del Consiglio e Ministro della difesa (dal 29 novembre 1945), successivamente Presidente della Repubblica federale jugoslava dal 1953 e dal 1963, con la nuova Costituzione, Presidente a vita.

Tito era, si può dire, jugoslavo a tutto campo. Nato, nel 1892, in Croazia, a Kumrovec, morto, nel 1980, in Slovenia, a Lubiana, sepolto in Serbia, vicino a Belgrado. Era la personalità, forse l’unica possibile, che ha mantenuto uniti i vari Stati della Repubblica federale jugoslava, dissoltasi a partire dal 1991, con la defezione della Slovenia (25 luglio), a soli undici anni dalla morte di Tito.

Il Giorno del Ricordo, che è stato fissato, con legge del 30 marzo 2004, al 10 febbraio di ogni anno, data del Trattato di pace di Parigi (1947) col quale l’Istria, il Quarnaro, parte della Dalmazia e poi la Zona B di Trieste sono tornati alla Jugoslavia, si intende finalmente riconoscere il sacrificio degli istriani, dalmati, giuliani, fiumani e il martirio degli ‘italiani delle foibe’.

La considerazione dei massacri come atti di vendetta nel dopoguerra è stata ribadita in un incontro, avvenuto il 3 settembre 2011 fra i presidenti di Italia e Croazia, Giorgio Napolitano e Ivo Josipovic, incontro che ha dato “l’occasione per ricordare le vittime italiane della folle vendetta delle autorità postbelliche della ex-Jugoslavia, crimini senza giustificazione alcuna”.

Dal canto suo il Governo sloveno ha salutato con soddisfazione la pubblicazione della relazione sui “rapporti italo-sloveni dal 1880 al 1956”, dove si legge, fra l’altro, che “l’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani”.

Adesso, come dicevamo, siamo tutti amici, anche perché siamo volontariamente vincolati dalle regole dell’Unione Europea e dell’Euro. Dimentichiamoci, quindi, delle differenze di opinione, dei contrasti, delle divergenze storiche e politiche. Ma, per favore, non dimentichiamoci dei morti istriani, dalmati, giuliani, fiumani nei campi di concentramento e nelle foibe: erano vittime, erano italiani. Sono morti nostri, ma anche del mondo. Non dimentichiamoli. Mai.

In occasione del Giorno del Ricordo lunedì prossimo, 10 febbraio, alle ore 20.30 presso la Sala Polivalente Vecchio Mulino a Nuvolento verrà proiettato il film “Red Land (Rosso D’Istria)”, in collaborazione con il Comune di Paitone.

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