Un'altra strage del sabato sera! Riflettiamo genitori
di Giuseppe Maiolo

La tragedia di Roma nella zona di Ponte Milvio, dove Pietro, vent’anni e appena patentato, ha travolto con la sua macchina Camilla e Gaia, due sedicenni, non può che annichilirci.

Un incidente, si dirà, una fatalità della vita, il destino o l’incoscienza dei gesti giovanili.

Possibili spiegazioni. Ma ogni motivo che troviamo e ogni ipotesi che possiamo avanzare potrà servire solo, e molto limitatamente, ad attenuare quel dolore indicibile che ci sconvolge di fronte alla sofferenza acuta per la perdita di un figlio. Nessuna però di queste ragioni ci servirà a cogliere l’intera realtà di quello che è successo tra sabato e domenica scorsa nella Roma della vita notturna.

Non lo spiegherà la movida romana o la pioggia battente di quel momento in cui le due adolescenti sono state travolte dall’auto di Pietro, e nemmeno l’imprudenza o la loro fretta che, come sembra, le ha fatte attraversare col semaforo rosso. Forse non servirà neanche definire, quando verrà accertata, la misura della colpa del giovane, e quanto è imputabile all’abuso di alcool combinato con le sostanze. Certo le responsabilità dovranno essere fatte valere.

Ma per noi adulti tutto potrà essere importante e inutile allo stesso tempo, se non sapremo riconoscere quanto è fragile e difficile l’esistenza dei nostri giovani e cosa ci serve fare, come genitori, per proteggere e difendere le loro vite.

Il vortice di angoscia che ci prende in casi come questi, non ci deve far dimenticare che nonostante tutti i nostri sforzi, non siamo ancora riusciti a comunicare con efficienza i rischi di certi comportamenti, il pericolo dell’alcol e del mix frequente di sostanze che gli adulti hanno definito leggere.

Nonostante le innumerevoli campagne di informazione e sensibilizzazione su alcol e droga, le tonnellate di pieghevoli e un’infinità di spot piene di messaggi di attenzione di precauzioni da adottare, quali risultati abbiamo ottenuto? Proviamo a pensare cosa non ha funzionato. Perché è lì che dovremo andare per trovare come aiutare gli adolescenti fragili e spavaldi che ci stanno attorno.

La prima cosa che mi vien da dire, allora, ai genitori e agli educatori, è quella di sviluppare una comunicazione efficace, fatta di attenzione e tanto ascolto, ma di poche parole.

Fiumi di allerta e continui messaggi di preoccupazione non servono a nulla. Non serve a niente ripetere “Sta attento” oppure “A mezzanotte, ti voglio puntuale a casa!”. Meglio stabilire accordi, condividere le necessità nostre con quelle dei ragazzi. Fondamentale è negoziare con loro il rientro a casa, definire insieme le modalità, stimolarli a individuare i rischi e decidere insieme le sanzioni per il non aver osservato le regole definite. Se sono fragili e ancora incapaci di autocontrollo, ed è fisiologico che lo siano da adolescenti, li dobbiamo aiutare a diventare critici e capaci di pensare con la loro testa. Questo li può salvare. Li può salvare la coerenza dei nostri atteggiamenti, soprattutto quando si tratta di correggere i comportamenti pericolosi e inaccettabili che non dovrebbero essere considerati solamente “bravate”.

Ai ragazzi vorrei invece dire di aiutarsi a vicenda, gli uni con gli altri. Di organizzarsi magari a turno come già fanno alcuni, stabilendo nel gruppo chi non toccherà alcol e chi al rientro dalla discoteca guiderà la macchina perché sobrio. Sono cose che gli adolescenti sanno, ma con i quali dobbiamo insistere dando loro gli strumenti adeguati per auto-proteggersi.
La peer-education funziona. Ma gliela dobbiamo insegnare.
 
Giuseppe Maiolo
Psicoanalista
Docente di Psicologia delle età della vita
Università di Trento
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