Quanta fede!
di Ezio Gamberini

“Oggi il nostro confratello ha lasciato R. per andare a B. nella nostra infermeria. Sai che ha novantatré anni. Speriamo in un rapido recupero e così un veloce ritorno qui da noi”…


Quanta fede!
Questo è il messaggio del nostro amico missionario quasi ottantenne, Padre B., una vita spesa in Sudamerica e Africa, e da qualche anno impegnato a prestare servizio in una parrocchia dell’Italia centrale situata in una rinomata località turistica sull’Adriatico, amministrata dalla Congregazione alla quale appartiene.
Le due località distano seicento chilometri.

Passano tre settimane e su WhatsApp Padre B. mi manda una foto del confratello nei suoi ultimi giorni, seduto accanto a un tavolino, col volto sereno:
"... oggi sarà sepolto a B., ma il suo spirito vivrà per sempre qui a R.".

Quanta fede.
Ma quanta fede!

Sarebbe sufficiente un centomillesimo della tua fede per avere la forza di chiedere un miracolo per far guarire una persona cara, o più semplicemente per riuscire a condividere le fatiche che devono sopportare lei e i suoi cari, per farli sentire meno soli e prendersi in carico un pezzettino del loro dolore, e rendere anche soltanto in modo infinitesimale meno greve il loro fardello.

Sarebbe sufficiente un centomillesimo della tua fede per comprendere quali sono le cose più importanti nella vita: gli affetti dei propri cari, una convivenza pacifica e rispettosa del prossimo, la tutela dell'ambiente in cui viviamo, la lungimiranza di chi ci governa e amministra, che invece di agire talvolta con tracotanza, dovrebbe operare per fare in modo che chi viene dopo di noi non maledica la nostra generazione per l'eternità.

Sarebbe sufficiente un centomillesimo della tua fede per considerare normalissimo il gesto di un professore che rinuncia a proseguire la partecipazione a un noto quiz televisivo, in cui è stato campione per dodici puntate di seguito, pur senza vincere un centesimo, perché aveva voglia di tornare sui banchi di scuola per insegnare ai suoi ragazzi che è più importante la cultura, non chi alza di più la voce o fa il bullo.

La lettera con la quale si è congedato dovrebbe essere pubblicata sulle antologie scolastiche: "... il mio posto è là, tra i miei ragazzi: ogni mattina in prima linea nella missione quotidiana dell'educazione e dell'onestà. Dimostrando ai giovani che la gentilezza vince sulla violenza, la cultura vince sull'ignoranza, il sorriso sconfigge la rabbia e l'ironia batte l'odio. Insegnando loro a non impugnare i coltelli, ma i libri, e a sostituire gli spintoni con gli abbracci".

Certe mattine, quando mi faccio la barba, magari in un giorno in cui ho un po' la "cresta alta", mi guardo allo specchio, e mi dico:

"Povero scemo, ma lo sai che fra neanche mezz'ora potresti non esserci più? Che cosa porti con te? E invece, cosa hai lasciato?".

So cosa significa "non esserci più" mezz'ora dopo esserti fatto la barba: è successo undici anni fa, quando fui colpito dal secondo infarto in quindici giorni.
Terminata la colazione, mi sedetti come ogni mattina in poltrona per ascoltare le notizie dal telegiornale, e mi sentii mancare lentamente, consapevole che stavolta era la fine.
La mia povera Grazia, come mi raccontò in seguito, chiamò immediatamente l'ambulanza e mi fece il massaggio cardiaco, fino al suo arrivo, e pochi minuti dopo essere giunto all'ospedale, mi si fermò il cuore.
Me lo fecero ripartire, m'intubarono e mi spedirono al Civile, dove mi riaprirono lo "stent" che si era richiuso all'improvviso, provocandomi uno sconquasso, ed io mi risvegliai dopo un giorno e mezzo, sprofondato in un letto della rianimazione cardiologica.

Il primo viso che incontrai, riaprendo gli occhi, fu quello dell’infermiere che riconobbi essere il figlio di Dante, storico autotrasportatore del mio paese, che da ragazzo ammiravo estasiato nelle sue epiche battaglie a dama alla Casa del Giovane appena aperta, contro Luigi, il gestore del centro; entrambi erano giocatori di serie A!
Il secondo viso che riconobbi era quello di un’altra conoscente del mio paese, anche lei infermiera in rianimazione, sorella di una nostra amica, mentre il terzo fu quello dell'infaticabile chirurgo, che lavora in un altro reparto, amico fraterno ancora oggi, sin dall'infanzia.

Quel curioso consesso di compaesani valsabbini
fu davvero consolatorio per l'animo mio e mi rinfrancò enormemente, anche perché Grazia e i miei figli non potevano entrare in rianimazione, e li rividi soltanto il giorno successivo, quando mi trasferirono in terapia intensiva.

Ma torniamo al "povero scemo": dopo essermi preso a male parole davanti allo specchio, e ricordando ciò che accadde a quel tempo, improvvisamente mi passano tutte le "belegornie", allora guardo fuori dalla finestra e spero che il "mio" solito merlo, abitualmente nascosto tra il melograno e le ortensie, esca a darmi il buongiorno, che sarà sicuramente un buon giorno, pure se piove.
E so che anche stasera, prima di addormentarmi, come sempre, ringrazierò per un altro giorno che ci è stato concesso.

Sarebbe sufficiente un centomillesimo della tua fede
, caro Padre B.... ma forse non abbiamo neppure quello.

Ezio Gamberini


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