Migranti di oggi e di ieri (1)
di Ernesto Cadenelli

Emigrare non è una pacchia, nè oggi nè ieri. Il racconto nazional-populista sulla migrazione, oggi tanto in voga, ha completamente rimosso dalla memoria le migliaia di italiani morti nelle traversate oceaniche...


...le tragedie come quelle della miniera di Marcinelle, le sopraffazioni e le violenze subite da chi dall’Italia andò in cerca di fortuna lontano.

Quando gli immigrati eravamo noi, espatriavamo illegalmente, eravamo accusati di rubare il lavoro ed eravamo delinquenti e mafiosi.
Non si può dimenticare.
Tornerò in seguito su alcune testimonianze di vita vissuta dai nostri emigranti.

Vorrei con questo scritto ricostruire i dati dell’esodo italiano nel mondo.

Sottolineo solo il disgusto per le parole di Di Maio che recentemente ha sostenuto che non bisognava emigrare e che è inutile commemorare tragedie come Marcinelle. Da un ministro figlio del Sud non me lo sarei aspettato.

Tornando all’esodo, esso comincia subito dopo l’Unità d’Italia.

Già nel 1861, dal censimento emerge che oltre un milione di italiani è espatriato (allora i cittadini erano poco più di ventidue milioni).
Col passare degli anni fino al 1980, diventeranno più di 24 milioni. I rientrati sono stati alcuni milioni, per cui il saldo dell’emigrazione conta circa 18 milioni non più tornati in Italia.

Nel 1861 su un milione che migrarono, 47.000 sbarcarono a Ellis Island porto di New York (per lo più toscani, campani, siciliani e friulani). Gli altri in Europa.

Ogni Regione fornì braccia: tra il 1861 e il 1900 espatriarono 940.000 veneti, 709.000 piemontesi, 519.000 lombardi, 847.000 friulani, 117.000 liguri, 220.000 emiliani e romagnoli, 70.000 marchigiani, 136.000 molisani, 109.000 abruzzesi, 15.000 laziali.
Dalle regioni meridionali partirono in 520.000 campani, 50.000 pugliesi, 191.000 lucani, 275.000 calabresi, 266.000 siciliani, 8.000 dalla Sardegna.

Per le destinazioni in totale negli anni si contano circa 4 milioni verso la Francia, quasi 4 milioni verso la Svizzera, oltre 2 milioni verso la Germania, oltre 500.000 verso il Belgio, oltre 1 milione verso l’Austria; 5 milioni verso gli USA, quasi 3 milioni verso l’Argentina, 1,5 milioni verso il Brasile, circa 650.000 verso il Canada, quasi 500.000 verso l’Australia, 300.000 verso il Venezuela, quasi 300.000 verso Gran Bretagna.

Pensando al periodo storico e all’assenza di mezzi di comunicazione, possiamo immaginare le sofferenze patite da chi è partito e dai familiari rimasti.
Situazioni drammatiche che hanno toccato anche le comunità della Valle Sabbia e della Valle del Chiese.
Probabilmente oggi si è disperso un patrimonio collettivo di testimonianze e di memoria che alcuni custodiscono nei loro ricordi familiari e nei legami parentali che nel tempo si sono potuti ricostruire tra gli eredi dei partiti e gli eredi dei rimasti.

Io ricordo di un signore che chiamavamo l’Americano
che ogni tanto tornava e raccontava a noi bimbi le grandezze esagerate dell’America, frutto del lavoro, della fatica e sfruttamento degli italiani.
Credo però che, se si fa mente locale, ognuno nella propria comunità, sia possibile riportare alla memoria di tutti circostanze, fatti, nomi di persone che in questo processo sono stati coinvolti e loro malgrado protagonisti.

In molti paesi del Sud sono stati inaugurati monumenti ai migranti, ma anche al nord.
Il bel viale di Pinzolo è lastricato di nomi di città di tutto il mondo dove il “mòleta” è arrivato e si è fermato. Quella comunità, che ha organizzato i suoi migranti, affigge manifesti funebri di morti negli Usa o in Australia.
Anche in Valle Sabbia “la famèa bagossa” è testimonianza del legame tra la terra natia e il migrante.

Ci sono luoghi che la migrazione ha spopolato, la Valvestino, ma in generale i paesini di montagna.
Paesi del fondovalle dove la chiusura dei grandi stabilimenti tessili, si pensi Roè, ha provocato l’esodo di tante persone.
Recentemente ho incontrato due signore migrate in Svizzera sul finir degli anni ’50 e poi tornate, che mi hanno raccontato dei patimenti e dei maltrattamenti subiti.

Ed eravamo già nel secondo dopoguerra.
Proviamo a immaginare il clima verso gli stranieri negli Usa durante la grande crisi del ‘29.
Ma questo sarà oggetto di un prossimo articolo.

Non dimenticare il passato per poter costruire il futuro!

Ernesto Cadenelli

(continua)

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